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I luoghi dell’educazione nell’antica Grecia

L’EDUCAZIONE NELL’ANTICA GRECIA

La Grecia è la culla della nostra stessa civiltà, vi è sorto il pensiero filosofico con le strutture che caratterizzano ancora il nostro sapere e nelle quali ci identifichiamo. I greci per primi hanno formulato un concetto dell’uomo ideale come incontro tra prestanza fisica e bellezza spirituale (calocagatia): ideale armonico al quale si sono ispirate la poesia, le opere di storia e soprattutto la politica e l’educazione. Per ricostruire la storia della pratica educativa e della psicologia nell’Occidente, dobbiamo risalire alle sue origini che sono fondamentalmente greche, con particolare riferimento al metodo spartano ed al metodo ateniese. Nello specifico l’educazione ateniese espresse le caratteristiche distintive dell’educazione classica, che di fatto si rivolse a formare soprattutto le qualità fisiche, morali e intellettuali dell’uomo (educazione umanistica). Purtroppo l’educazione ateniese ha avuto il difetto di essere riservata  a una classe privilegiata e di trascurare i valori dell’infanzia, non adeguando i suoi metodi alle esigenze dell’età dei soggetti più fragili.

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Max Weber dalla filosofia alla sociologia

Quali sono i presupposti teorici che influenzeranno il pensiero di Max Weber?

Nella seconda metà del XIX secolo si manifestò, soprattutto in Germania, una vivace reazione al Positivismo e al modo di intendere le scienze umane da parte dello Storicismo. Lo Storicismo è stato un movimento filosofico che ha posto l’accento sull’irriducibilità della conoscenza storica a leggi universali e necessarie (come quelle tipiche delle scienze naturali), giungendo a proclamare la superiorità della conoscenza storica su quella delle altre discipline, in quanto solo tale conoscenza sarebbe capace di cogliere gli aspetti individuali e i valori che costituiscono l’essenza più profonda della vita e della realtà spirituale nel suo continuo mutare. I positivisti consideravano le scienze naturali il modello cui adeguare quelle dell’uomo e ritenevano che lo stesso metodo scientifico dovesse essere applicato in ogni campo del sapere (in fisica, in biologia, in sociologia, in storia, ecc.). Anzi pensavano che la ricerca scientifica, sia in campo umano che naturale, servisse a scoprire le leggi generali e a ricostruire i meccanismi insiti nella realtà e a spiegare e prevedere gli eventi. In tale direzione anche la scienza della società serviva non a costruire direttamente una morale razionale, ma a mostrare come una morale razionale nascesse dallo sviluppo della società prodotto dall’applicazione della scienza alla natura. Persino l’interesse della filosofia si rivolse al “fatto delle scienze”. Tale “fatto scientifico” nel significato positivistico era subentrato alla nozione di “dato”, che lo stesso Kant aveva considerato come uno dei presupposti per l’uso dei concetti dell’intelletto, cioè dell’organizzazione dei nostri concetti nell’interpretazione della realtà. Col dominio del Positivismo il “fatto delle scienze” non si limitò alle scienze naturali e al loro campo di applicazione, facendo emergere l’esigenza di ampliare la nozione di scienza. Pertanto i contenuti delle teorie comtiane furono abbandonati o modificati via via che l’attenzione della sociologia cominciò a spostarsi dallo sviluppo della scienza, inteso come asse principale delle trasformazioni storiche, all’organizzazione sociale, che emerse come oggetto autonomo di indagine. Malgrado tutte le sue trasformazioni, la sociologia suggerì che le regole sociali, comprese quelle morali, andavano interpretate non attraverso i loro contenuti espliciti, ‘letterali’, ma tenendo conto della ‘funzione’ che svolgono all’interno del sistema sociale. Gli storicisti tedeschi iniziarono a pensare che lo studio delle vicende umane fosse un campo completamente differente rispetto a quello del mondo naturale, che si trattasse quindi proprio di due diversi ordini di scienza. Per gli storicisti, quando si studia la storia umana (e per esteso ogni ambito del sapere umano), l’intento è cogliere i singoli eventi nella loro individualità, unicità e irripetibilità, mentre nelle scienze naturali si va alla ricerca di leggi universali. Ogni fatto della storia è un evento completamente a sé e va capito come tale (ogni fatto va interpretato nella sua unicità, senza ricorso a leggi generali). Lo scienziato che spiega guarda ai fenomeni dall’esterno, nota gli eventi ripetitivi e inferisce connessioni causali; invece chi è teso a comprendere gli eventi della storia umana si sforza di cogliere le esperienze umane dall’interno, usando l’empatia (il mettersi nei panni dell’altro) e cercando di rivivere su di sé il vissuto altrui, è interessato a ricostruire il mondo mentale degli individui che studia, le loro percezioni, i pensieri e le intenzioni. Per questo nelle scienze storico-sociali le leggi sono ipotetiche e il loro compito è quello di chiarire determinati aspetti del fenomeno, ma non possono esaurirlo.

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L’importanza dell’educazione per Karl Marx

Contributo di Erika Piccirillo – Classe 5 A

Marx attribuisce all’educazione un compito fondamentale all’interno della società socialista: quello di far uscire l’uomo dallo stato di alienazione e quindi di totale abbrutimento, a cui è stato disumanamente costretto (ridotto purtroppo ad essere un’appendice della macchina motore del vero lavoro). L’educazione, secondo il pensiero di Marx, si basa su tre cardini:
1) la formazione intellettuale di ogni essere umano;
2) l’educazione fisica;
3) l’educazione politecnica
Quest’ultima si basa sulla preparazione teorica dei fondamentali principi scientifici e sull’insegnamento dell’uso dei necessari strumenti tecnici. Tutto ciò per formare un “uomo nuovo”, capace di saper gestire con padronanza ed autonomia il proprio lavoro.

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La funzione tutoriale dell’adulto nello sviluppo linguistico del bambino.

Perché lo sviluppo del linguaggio è un tema complesso?

Un argomento di studio fondamentale nel dibattito psicologico è quello relativo all’indagine condotta sullo sviluppo del linguaggio. E’ questo un  tema complesso, che si articola in molteplici ramificazioni, poiché coinvolge la collaborazione di numerose discipline nella ricerca delle sue spiegazioni, della sua origine, del suo sviluppo, del suo apprendimento e della sua diffusione sociale.

Tra le discipline maggiormente interessate al tema dello sviluppo del linguaggio troviamo, oltre alla Psicologia, tutte quelle appartenenti all’area delle Neuroscienze: non si può sottovalutare il prezioso contributo della Linguistica, della Sociologia, dell’Antropologia e delle Scienze della Comunicazione, comprese quelle scienze che riguardano i linguaggi artificiali e telematici.

Il motivo di così tanto interesse per il tema dello sviluppo del linguaggio scaturisce dal fatto che esso costituisce, se così vogliamo dire, “la funzione umana per eccellenza”, che conferisce a ciascun individuo “potere” e dunque “possibilità di avere conoscenze, competenze ed abilità” per vivere con dignità ed in forme costruttive i rapporti con gli altri esseri umani.

Poiché il linguaggio è anche una funzione unitaria, in quanto sintesi prodotta dalla presenza di molteplici componenti, esso deve essere in primo luogo considerato come “un processo evolutivo che accompagna lo sviluppo dell’individuo”. E’ su questa base che è possibile giustificare, appunto, il linguaggio come funzione prettamente sociale, per mezzo della quale l’uomo può comunicare con i suoi simili. Per far questo è necessario,però, capire i meccanismi che consentono lo sviluppo del linguaggio in ciascun individuo, cogliendo quei fattori che favoriscono il suo apprendimento. E’ utile al riguardo inquadrare concettualmente, prima di tutto, che cosa si intenda per linguaggio e, a tal fine, si darà una definizione il più possibile chiarificatrice in funzione dell’argomento che qui viene esaminato.

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