I nuclei fondamentali del pensiero di Friedrich Nietzsche

1. La tendenza critico-demistificatrice del pensiero di Nietzsche.

Il pensiero di Nietzsche risulta caratterizzato da una radicale messa in discussione della civiltà e della filosofia dell’Occidente, che si traduce in una distruzione programmatica delle certezze del passato. Quest’opera di demolizione polemica del passato non si risolve in un semplice rifiuto delle teorie e dei comportamenti tradizionali, in quanto mette capo alla delineazione di un nuovo tipo di umanità: «il superuomo» o «l’oltreuomo». Però il suo compito costruttivo non è stato tuttavia eseguito oppure è stato male inteso: ha dovuto, infatti, subire tutta una serie di interpretazioni che non gli hanno reso giustizia. L’opera di Nietzsche viene convenzionalmente suddivisa in alcune fasi, che non vanno intese alla stregua di scansioni rigide, ma come tappe transitorie di un pensiero in divenire, che riunisce, in se stesso, rottura e continuità:

a.    Gli scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano (1872-1876).
b.    Gli scritti intermedi del periodo «illuministico» o «genealogico» (1878-1882).
c.    Gli scritti del meriggio o di «Zarathustra» (1883-1885).
d.    Gli scritti del tramonto o degli ultimi anni (1886-1889).

2. La critica della cultura e della storia.

“La nascita della tragedia dallo Spirito della musica.” Ovvero: grecità e pessimismo (1872) è un’opera composita, nella quale coesistono, di fatto, filologia, filosofia, estetica e teoria della cultura. Con “La nascita della tragedia” (1872) Nietzsche critica sostanzialmente il carattere unilaterale e riduttivo della cultura tedesca del suo tempo, in cui predomina l’uomo teoretico (conoscitivo o apollineo). Quest’uomo corrisponde al mondo della scienza e della divisione tecnica dei compiti, perchè è caratterizzato dalla fiducia nella possibilità di correggere il mondo per mezzo del sapere, in una vita guidata dalla sola scienza. Il padre di tale modello culturale è Socrate, che inaugura il metodo della comprensione della realtà mediante concetti. Con ciò l’arte stessa viene subordinata al concetto e si stempera, cioè si dissolve, nella visione delle forme apollinee, di cui non si coglie la radice profonda nel dolore e nella durezza della vita. L’impulso apollineo, che corrisponde al mondo del sogno e all’arte dello scultore, deve essere invece posto in relazione con l’impulso dionisiaco, che corrisponde al mondo dell’ebbrezza e all’arte non figurativa della musica. Il motivo centrale di La nascita della tragedia è la distinzione fra «apollineo» e «dionisiaco». Con questa coppia di opposti (che si concretizza in altre sotto-coppie, come forma-caos, stasi-divenire, finito-infinito, sogno-ebbrezza, luce-oscurità, serenità-inquietudine) Nietzsche intende, innanzitutto, i due impulsi di base dello spirito e dell’arte greca.

  1. L’apollineo, che scaturisce da un impulso alla forma e da un atteggiamento di fuga di fronte al divenire, si esprime nelle forme limpide e armoniche della scultura e della poesia epica.
  2. Il dionisiaco, che scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire, si esprime nell’esaltazione creatrice della musica (e della poesia lirica).

In questa fase Nietzsche è influenzato sia dalla metafisica di Schopenhauer, con la distinzione tra mondo della rappresentazione e mondo della volontà, sia dal dramma musicale wagneriano, che intende essere opera d’arte totale, con la fusione di musica, mito, azione dell’eroe, testo poetico e plasticità scenica. Da Schopenhauer Nietzsche deriva la tesi del carattere doloroso e «raccapricciante” dell’esistere. Di Schopenhauer respinge la tematica dell’ascesi. Per Nietzsche occorre andare oltre i limiti della cultura teoretica, consolatrice ed illusoria, incapace “di poter scrutare, sulla base della causalità, l’intima essenza delle cose”, e di superare lo “spirito storico-critico” della cultura presente, che si riduce a raccattare elementi disgregati dietro la spinta di una “eccessiva brama di sapere”, e di riannodare così il legame tra vita e mito. Ciò non ha senso, perché la vita è dolore, lotta, distruzione, crudeltà, incertezza, errore. Essa non ha ordine, né scopo, il caso la domina e i valori umani non trovano in essa garanzie precostituite. Nietzsche vuole essere un discepolo di Dioniso, poiché nell’antica figura greca egli vede il simbolo del suo «Sì» totale al mondo. Dioniso è il dio dell’ebbrezza e della gioia, il dio che canta, ride e danza. Egli è l’incarnazione di tutte le passioni che dicono «Sì» alla vita e al mondo. Invece la cultura storicistica, al pari di quella positivistica, favorisce «l’idolatria del fatto» e fa dell’uomo il risultato di un processo necessario, costretto a «incurvare la schiena e a chinare la testa» dinanzi alla potenza della storia e alla dialettica razionale che la costituisce. Secondo Nietzsche il fattore «oblio» risulta indispensabile alla vita. Innanzitutto, perché senza una certa dose di incoscienza non c’è felicità. La «vita» rappresenta quindi l’ottica con cui rapportarsi alla storia e instaurare un rapporto proficuo con il passato.

Questi temi vengono sviluppati nelle quattro Considerazioni inattuali, e in particolare dalla seconda, “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” (1874), in cui denuncia i danni provocati dalla mentalità storicistica, quali la riduzione delle verità a eventi effimeri, la passività dell’uomo nei confronti della tradizione e del passato, l’identificazione del divenire della storia con un progresso univoco. Nietzsche oppone, a favore della felicità e della vita, la capacità di dimenticare o di sentire “in modo non storico”. Per essere veramente storici, cioè creatori di storia nuova e non ripetitiva del passato, bisogna guadagnare un atteggiamento antistorico e sovrastorico.

3. Il metodo genealogico.

Con “Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi” (1878) Nietzsche prende le distanze sia da Schopenhauer, sia da Wagner e imbocca la via del rischiaramento logico-scientifico, inteso come “storia della genesi del pensiero”. Indagando la nascita delle rappresentazioni di questo mondo propugna “una chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici”, per mostrare che “anche in questo campo i colori più magnifici si ottengono da materiali molto bassi e persino spregiati” (per esempio, il razionale dall’irrazionale, la logica dall’illogicità, il disinteresse dalla brama, l’altruismo dall’egoismo e la verità dagli errori).

Egli inoltre si propone di sostituire al pathos del possesso di verità assolute “quel pathos, certo più mite e meno altisonante, della ricerca della verità”. Se precedentemente metafisica e arte funzionavano da vie di accesso privilegiate, ora Nietzsche è Illuminista, non perché sia dotato della (ingenua) fiducia settecentesca nella ragione e nel progresso, ma perché impegnato in un’opera di critica della cultura tramite la scienza. Per «scienza» Nietzsche non intende l’insieme delle scienze particolari (a cui egli appare comunque interessato), bensì un metodo di pensiero in grado di emancipare gli uomini dagli «errori» che gravano sulle loro menti. I concetti (o le «figure» interconnesse) in cui si incarna la filosofia illuminista e genealogica di Nietzsche sono lo spirito libero e la filosofia del mattino. Lo spirito libero – ulteriore abbozzo del superuomo – si identifica con il «viandante», ossia con colui che, grazie alla scienza (una «gaia» scienza dai tratti liberanti) riesce a emanciparsi dalle tenebre del passato, inaugurando una «filosofia del mattino» basata sulla concezione della vita come transitorietà e come libero esperimento senza certezze precostituite.

In “Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali” (1881) Nietzsche scava nei presupposti della morale, che vengono ricondotti principalmente alla pressione della paura e del conformismo sociale (“spirito del gregge”). D’altro canto in tutte le forme della morale, anche quelle del sacrificio e dell’ascetismo proprie del cristianesimo, si cerca di soddisfare comunque il senso della potenza, che è il connotato di ogni agire umano. Ne “La gaia scienza” (primi quattro libri, 1882) critica radicalmente il sapere scientifico, rimproverandogli di spiegare tutto col nesso di causa ed effetto. Questo tipo di spiegazione ci consente di descrivere meglio il divenire nella successione delle sue immagini, ma non ce lo fa comprendere nei suoi aspetti qualitativi e per di più frammenta il flusso dell’accadere in elementi isolati. Inoltre la critica della metafisica trova la sua espressione più caratteristica nella teoria della «morte di Dio», annunciata in La gaia scienza.

Per comprendere in modo adeguato che cosa significhi la «morte di Dio» occorre tenere presente che per Nietzsche Dio è sostanzialmente:

  1. il simbolo di ogni prospettiva oltremondana che ponga il senso dell’essere al di là dell’essere, ovvero in un altro mondo contrapposto a questo mondo;
  2. la personificazione delle certezze ultime dell’umanità, ossia di tutte le credenze metafisiche e religiose elaborate attraverso i millenni per dare un «senso» e un ordine «rassicurante» alla vita.

Secondo Nietzsche, l’immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente, al fine di sopportare la durezza dell’esistenza. Appare chiaro che la morte di Dio costituisce sì un «trauma», ma solo in relazione ad un uomo-non-ancora-superuomo, e che, proprio in virtù di essa, può divenire tale. La morte di Dio coincide infatti con l’atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormai maturo, secondo Nietzsche, per varcare l’abisso che divide l’uomo dall’oltre-uomo.

4. Eterno ritorno, superuomo, volontà di potenza.

In “Così parlò Zarathustra, un libro per tutti e per nessuno” (1883-1885) Nietzsche affronta il compito di pensare l’uomo e il mondo dopo che “Dio è morto” o dopo che noi l’abbiamo ucciso, senza essere consapevoli della “grandezza di quest’azione” e senza trarne le conseguenze in ordine all’annullamento delle “vecchie tavole” di valore. Coincidendo con il venir meno delle certezze metafisiche, la morte di Dio corrisponde al tramonto definitivo del platonismo, che per Nietzsche è la metafisica per eccellenza dell’Occidente. Dopo la «morte di Dio» si aprono due possibilità: l’ultimo uomo e il superuomo. Zarathustra non ha dubbi: insegna il superuomo mostrando la depravazione e l’abiezione dell’ultimo uomo. Zarathustra non è il superuomo, ma soltanto il suo profeta. Una cosa certa è che in un passo di Ecce homo Zarathustra viene interpretato secondo il modello dell’autosoppressione della morale, ossia come colui che, essendo stato il primo ad aver tradotto la morale in termini metafisici, sarebbe stato anche il primo ad essersi accorto dell’errore della morale.

Dal punto di vista concettuale, i temi di base dello Zarathustra sono sostanzialmente tre:

  1. il superuomo (annunciato nella prima parte);
  2. la volontà di potenza (annunciata nella seconda parte);
  3. l’eterno ritorno (annunciato nella terza parte).

Dopo il nichilismo nel quale si sono dissolti i valori della tradizione platonico-cristiana, abituata a porre un altro mondo dietro questo mondo, Zarathustra insegna a essere “fedeli alla terra” servendone il senso in novità di spirito, di virtù e di valore. Stabilire il senso della terra in modo nuovo non vuol dire però assegnargli uno scopo o una meta centrale. Sotto questo profilo Zarathustra dichiara la razionalità “impossibile” ed esalta le prospettive affrancate da ogni asservimento a una volontà estrinseca: piuttosto, le cose preferiscono danzare “sui piedi del caso”. Ma in Nietzsche si dà un’altra volontà, intrinseca alle cose, chiamata a trasformare ogni “così fu” in un “così volli che fosse”, compreso l’atto stesso del volere. Il superuomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza; di dir di Sì alla vita; di «reggere» la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute; di far propria la prospettiva dell’eterno ritorno; di emanciparsi dalla morale e dal cristianesimo; di procedere oltre il nichilismo; di affermarsi come attività interpretante e prospettica ecc. Per questo motivo il caso viene trasfigurato da una decisione che lo vuole come necessità, e a sua volta la necessità si dà solo nel caso.

Lo sviluppo della dottrina dell’eterno ritorno dell’identico vuole attribuire un fondamento di senso a ciò che non s’intende lasciare nella condizione di casualità assoluta. Sulle ceneri del nichilismo portato alle sue estreme conseguenze, ciò mette in luce l’intento costruttivo di Nietzsche: il divenire concepito come “eterno anello dell’essere”, nella circolarità di piacere e dolore, consente di amare il mondo (amor fati) e di riscattarlo in modo immanente. Questo riscatto esige il tramonto della visione tradizionale dell’uomo, il quale deve sapersi smascherare mantenendo intatta la capacità creativa “per costruire la casa al superuomo”. Zarathustra parla quindi da guaritore e da educatore e delinea anche le tavole di una nuova convivenza politica. Dopo più di duemila anni, Nietzsche torna dunque a recuperare una concezione pre-cristiana del mondo, presente nella Grecia presocratica e nelle più antiche civiltà indiane, la quale presuppone, alla lettera, una visione ciclica del tempo, in opposizione a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno.

Che cos’è veramente la teoria dell’eterno ritorno? Porsi nella prospettiva dell’eterno ritorno, per Nietzsche, significa escludere talune cose e difenderne altre. Innanzitutto, collocarsi nell’ottica dell’eterno ritorno vuol dire rifiutare una concezione lineare del tempo come catena di momenti, in cui ognuno ha senso solo in funzione degli altri. Una dottrina della temporalità di questo tipo ha come presupposto la mancanza di felicità esistenziale, poiché nessun momento vissuto, per essa, ha davvero in se medesimo una pienezza autosufficiente di significato. Viceversa, credere nell’eterno ritorno significa:

  1. ritenere che il senso dell’essere non stia fuori dell’essere, in un oltre irraggiungibile e frustrante, ma nell’essere stesso, ossia in ciò che Nietzsche chiama il divenire «innocente» e «dionisiaco» delle cose;
  2. disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso, realizzando in tal modo «la felicità del circolo”.

Per questo motivo, l’eterno ritorno incarna al massimo grado l’accettazione superomistica dell’essere. Esaurita, nello Zarathustra, la parte costruttiva del suo pensiero, Nietzsche si propone di distruggere definitivamente le credenze dominanti, per far posto all’avvento di un nuovo pensiero, finalizzato alla creazione del superuomo. Il tema dell’accettazione della vita – che costituisce il filo conduttore di tutto il pensiero di Nietzsche – porta il filosofo a polemizzare aspramente contro la morale e il cristianesimo, considerati come le tipiche forme di coscienza e di azione attraverso cui l’uomo è giunto a porsi contro la vita stessa.

In “Al di là del bene e del male” (1886) e “Genealogia della morale” (1887) Nietzsche s’impegna con una nuova profondità a rovesciare tutti gli apprezzamenti di valore già dati nella tradizione europea. In particolare nella Genealogia della morale, la morale platonico-cristiana, con i suoi valori di compassione, umiltà, rassegnazione e uguaglianza appiattita sul livello dei più deboli e rinunciatari, viene stigmatizzata come morale degli schiavi, che dicono no alla vita, e del risentimento contro le virtù praticate positivamente dagli aristocratici (magnanimità, coraggio, capacità di eccedere e di donare). La cosiddetta «voce della coscienza», da cui procederebbe la morale, secondo Nietzsche, è nient’altro che la presenza, in noi, delle autorità sociali da cui siamo stati educati. Per cui, anziché essere «la voce di Dio nel petto dell’uomo», la coscienza risulta piuttosto «la voce di alcuni uomini nell’uomo». In altre parole, la moralità è «l’istinto del gregge nel singolo», ovvero il suo assoggettamento a determinate direttive fissate dalla società.

Molti scritti successivi di Nietzsche sono stati raccolti dalla sorella Elisabeth, in modo arbitrario e condizionato dalle sue simpatie razziste e autoritarie, sotto il titolo di “Volontà di potenza” (1901) e hanno non poco contribuito al travisamento del pensiero nietzscheano.

5. Tipologie di nichilismo.

Nietzsche, sia pure in modo disorganico, abbozza una variegata tipologia del nichilismo. Egli distingue ad esempio fra nichilismo incompleto e nichilismo completo. Il nichilismo incompleto è quello in cui i vecchi valori vengono distrutti, ma i nuovi che a loro subentrano hanno la medesima fisionomia dei precedenti. Il nichilismo completo è il nichilismo vero e proprio. Tale nichilismo può essere segno di debolezza o di forza. Nel primo caso, cioè come sinonimo di «declino e regresso della potenza dello spirito», si ha il nichilismo passivo, che si limita a prendere atto del declino dei valori e a crogiolarsi nel nulla o in una serie di narcotici posticci. Nel secondo caso, cioè come sinonimo della «cresciuta potenza dello spirito», si ha il nichilismo attivo, che si esercita come «forza violenta di distruzione». Nietzsche chiama estrema la forma di nichilismo attivo che distrugge ogni residua credenza in qualche verità in sé di tipo metafisico. Il nichilismo attivo estremo o estatico raggiunge la sua completezza, cioè diviene classico, quando, fungendo da premessa per il superamento del nichilismo stesso e per l’esercizio della volontà di potenza, passa dal momento distruttivo (o reattivo) al momento costruttivo (o creativo), ovvero quando si rende conto che il senso, non essendo (ontologicamente) dato, deve essere (umanamente) inventato. In conclusione, dal punto di vista di Nietzsche, progettare di vivere senza certezze metafisiche assolute (cioè senza i «valori supremi») non significa distruggere ogni senso o norma, ma “responsabilizzare l’uomo a porsi come fonte di valori e di significati”. Accettare il rìschio e la fatica di dare un senso al caos del mondo dopo la morte delle antiche certezze e delle vecchie fedi: ecco il significato ultimo del superamento nietzscheano del nichilismo. Ed ecco per quale motivo Nietzsche ha inteso essere «paziente, diagnostico e terapeuta, nella stessa persona, della malattia mortale del nichilismo». Questo mostra come Nietzsche, pur essendo nichilista radicale (in quanto nega la presenza di fini o valori intrinseci alle cose stesse), lo sia in modo tale da superare il nichilismo stesso. L’essenza creativa della volontà di potenza si manifesta nella produzione di valori, che non sono proprietà delle cose, ma proiezioni della vita e condizioni del suo esercizio: dare un senso all’insensatezza caotica del mondo

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