5 ottobre 2022 - Filosofiamo    No Comments

L’appello di Machiavelli agli italiani

Nel suo saggio “Alzare lo sguardo” Susanna Tamaro scrive:

“Nel Paese dei balocchi in cui viviamo risuona un unico imperativo: «Lascia perdere!”. La memoria e il rigore, l’impegno e l’etica sono fatiche inutili. Le molte realtà straordinarie della scuola e dell’impegno sociale, così come le famiglie, sono costrette a nuotare come salmoni contro la corrente della crisi economica, dell’arroganza al potere, del disprezzo verso i saperi”.

Queste riflessioni mi fanno inevitabilmente prendere in considerazione ciò che per Kant, per libertà si debba intendere l’includere la libertà ed il vincolo legislativo  cioè nel senso che per libertà la si pensi e la si pratichi come autonomia di ogni cittadino, evitando di cadere nell’errore di intendere la libertà come arbitrio individualistico. Nello stesso tempo   Kant sottolineava come l’uomo non può mai ridursi ad essere trattato dallo stesso uomo come un semplice “mezzo”, bensì deve essere trattato sempre anche come un “fine”, cioè in quella modalità inclusiva che accoglie anche la posizione dell’altro, che la ascolta e la valorizza, consentendo che le due parti agiscano da una posizione di rispettivo equilibrio interiore e da una sorta di simmetrica maturità, oltre che da una volontà di valorizzazione reciproca.

In tal senso ritengo che sia importante prendere in considerazione quanto la tradizione storica ci propone come esempio: agli inizi del V secolo a.C. la plebe romana era in fermento perché tormentata dalla servitù per debiti, cioè chi era in condizioni economiche disagiate era costretto a debiti che spesso, non potendo essere ripagati, portavano alla perdita della libertà personale. Nel 494 a. C. le agitazioni sfociarono in aperta rivolta, con la famosa secessio plebis sul Monte Sacro, significativa del rifiuto di partecipare alla vita civica e ai conseguenti doveri militari. Il Senato, dopo diversi tentativi di conciliazione andati a vuoto, inviò presso i ribelli una deputazione di dieci illustri cittadini. Infatti furono mandate ai plebei due ambascerie, ma che, essendo state minacciosamente respinte, si diede incarico a M. Valerio, T. Larcio e Menenio Agrippa e ad altri sette legati di parlamentare con i dissidenti. Valerio invitò la plebe a tornare in città, Bruto tenne un discorso assai commuovente, esponendo le richieste della plebe, e Agrippa persuase la folla alla riconciliazione.

Menenio Agrippa, in particolare, grazie al suo apologo, attraverso le colorite immagini metaforiche dell’indispensabile concordia fra tutte le parti del corpo umano, convinse i rivoltosi a trattare.

Machiavelli e Rousseau concordano sul fatto che tutto si lega intimamente alla politica, nel senso che l’azione politica investe i problemi generali della condizione umana, analizzata non in modo astratto ma in chiave storica e alla luce di un tempo, di un’epoca specifica – caratterizzata, a sua volta, da una crisi radicale dello «stato del mondo”.

Perché chiedere consiglio proprio a Niccolò Machiavelli, con tanti opinionisti, commentatori ed esperti?

Sicuramente Machiavelli testimonia di essere un consigliere competente, certamente del tutto disinteressato e che ha a cuore il bene dell’Italia. Infatti Machiavelli evidenzia come “quando i cittadini non sono più in grado di assolvere i loro doveri o perché sono pigri, o perché sono corrotti, o perché si ritengono troppo furbi, accade inevitabilmente che qualche uomo potente e scaltro si faccia signore e corrompa la libertà”.

Per questo ritengo che non dobbiamo sottovalutare il fatto che tra i mezzi che abbiamo a disposizione per controllare i governanti, e per far capire ai potenti che abbiamo a cuore il bene comune, l’esercizio del diritto/dovere  del voto, è la prima e fondamentale conquista del nostro paese a cui nessuno può rinunciare.

 

Prof. Alfio Profeti

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