2 novembre 2022 - Filosofiamo    No Comments

Machiavelli e Mandeville a confronto: un’opportunità da non sottovalutare.

 

Una lettura occasionale.

Nel leggere, La balera da due soldi, un racconto di Georges Simenon, ho trovato interessante la descrizione dell’ambiente sociale, rappresentato da coloro che frequentano la balera da due soldi, in cui il commissario Maigret inizia le sue indagini, volte ad individuare il responsabile di un omicidio compiuto alcuni anni prima. Questa descrizione mi ha fatto avvicinare simbolicamente la “Mandragola” di Machiavelli con “La Favola Delle Api” di Bernard Mandeville, in quanto in entrambi i testi viene data una rappresentazione della morale e dei costumi, sia pur appartenenti a due momenti storici diversi, ma accomunati, secondo me, dal tentativo di conciliare “vizi privati con pubbliche virtù”, cioè l’utilità personale con il progresso economico della società. Infatti nei due scritti è possibile dedurre i vantaggi di cui beneficerebbe la collettività grazie al lusso di taluni, la volontà di prevalere, di accumulare e di possedere da parte di altri. Infatti il prendere in esame  due momenti storici caratterizzati da un cambiamento epocale: la realtà rinascimentale italiana, testimoniata dall’opera di Machiavelli, che preannuncia l’età moderna, e l’età preindustriale dell’Inghilterra dei primi anni del diciottesimo secolo, oggetto della “diagnosi” da parte dell’olandese Mandeville, corrispondente alla fase del maturo mercantilismo, costituisce un’opportunità per comprendere in quale modo possiamo delineare le condizioni sociali ed economiche volte a  garantire un rapporto rispettoso ed equilibrato tra le persone e l’ambiente.

 

La tesi di Mandeville.

Mandeville è stato considerato non solo filosofo, ma anche versatile poligrafo, notevole conoscitore della letteratura greca e latina oltre che delle maggiori letterature nazionali europee, eminente e apprezzato studioso di medicina, polemista e autore satirico, traduttore, o meglio: interprete in lingua inglese fra l’altro di La Fontaine. Comunque, al di là dell’eterogeneità dell’opera mandevilliana, è indubbio il manifestarsi, nel pensatore olandese, di una personalità sicuramente strutturata, in termini junghiani, in un campo fluido di rapporti tra inconscio personale e coscienza. Possiamo comunque affermare che al centro dell’opera di Mandeville c’è la preoccupazione di  definire il rapporto tra mondo mora­le e mondo civile, tra medicina e società, tra cultura e commercio, tra mon­danità e trascendenza. Posso aggiungere che La favola delle api propone un esame d’insieme della società inglese attraverso un’analisi interdisciplinare, ansi direi, replicando il titolo di una rivista inaugurata nel 1981 dalla Società editrice Il Mulino, per “intersezioni”, cioè esaminando il problema attraverso gli strumenti di indagine propri di quelle discipline che permettono di esaminare su più livelli ciò che è al centro della questione. In questo contesto, a mio avviso, è importante focalizzare l’attenzione sul rapporto tra mondo morale e mondo civile, cioè capire come Mandeville abbia cercato, in quanto medico, di formulare la diagnosi di una società che era al centro di un cambiamento epocale, il passaggio di un sistema valoriale proprio di una economia mercantilista a quello di  una nascente economia capitalista. Infatti, quello che Mandeville viene a prendere in considerazione è ciò che Bauman viene a definire come società liquida, in cui vengono meno quelle certezze necessarie a radicare ogni persona nella società.  Per questo è emblematica la diagnosi che Mandeville formula:

“Occorre che esistano la frode, il lusso e la vanità, se noi vogliamo fruirne i frutti. La fame è senza dubbio un terribile inconveniente. Ma come si potrebbe senza di essa fare la digestione, da cui dipendono la nostra nutrizione e la nostra crescita?[…] È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa.”

 

La tesi di Machiavelli.

Machiavelli vive a cavallo tra il quindicesimo ed il sedicesimo secolo, in una fase storica in cui si vengono a percepire, sia pur in modo inconscio nell’Italia rinascimentale, quei cambiamenti che preannunciano il sorgere dell’età moderna. E’ in questo contesto di cambiamento sociale che dobbiamo comprendere l’impegno del fiorentino di delineare un quadro politico e sociale in cui, sia pur da sognatore, viene ad immaginare un’Italia unita, che ha ormai superato tutte quelle forme di divisione e di contrapposizione che da sempre hanno animato la nostra storia.  A questo proposito, ritengo molto illuminante la tesi di Antonio Gnoli e di Gennaro Sasso in (I corrotti e gli inetti. Conversazioni su Machiavelli (Bompiani – 2014 risvolto di copertina) dove Gnoli e Sasso si confrontano sull’attualità del pensiero del fiorentino:

“Il pensiero di Machiavelli si rivela tanto perturbante quanto popolare ed estremo attraverso le domande che Gnoli e lo stesso Sasso vengono a sollevare in merito l’attuale crisi politica, dimostrando come siano ineludibili temi come: il rapporto con l’etica, i confini dell’esercizio dell’autorità, l’errore e la responsabilità personale. In tal senso emerge come Machiavelli venga ad intercettare e ad indagare la precarietà di una società esposta alla decadenza.”

ma devo sottolineare come questo senso di disorientamento e bisogno di nuove e più salde certezze, che si propaga in tutto l’arco temporale della rivoluzione scientifica, è ben rappresentato nel frontespizio della prima edizione 1620 del Novum Organum di Francesco Bacone, ove appare l’immagine raffigurante un veliero che oltrepassa le colonne d’Ercole, intraprendendo il suo viaggio verso l’ignoto, mentre , all’orizzonte, In mare aperto, si intravede un’altra nave, a significare che l’avventura è già cominciata.  L’analisi machiavelliana della realtà politica del tempo, come dell’etica e della morale religiosa dominante, è presentata ne “Il principe”, ma la ritroviamo nella sua traduzione pratica nella stessa commedia “La mandragola”. Nonostante che appartengano a due generi diversi, il Principe e la Mandragola mostrano numerosi elementi di contatto, primi fra tutti la logica dell’utile e l’intelligenza ad essa applicata. Inoltre in entrambe le opere emerge l’intento palese di analizzare e mostrare la verità effettuale dei mezzi con cui l’uomo arriva a raggiungere i suoi fini, spostando la prospettiva dallo scenario vasto della politica a quello della vita privata. Mentre  ne “Il Principe” lo scopo dell’agire politico viene rappresentato nei termini  di un proposito elevato, i personaggi della Mandragola mettono in campo tutte le loro migliori energie, le loro virtù, per uno scopo sia pur greve e volgare, ma che viene esibito  come la realizzazione del bene comune.

 

Cosa suggerisce il confronto Machiavelli Mandeville?

Nella prefazione dell’edizione del 1723 de “La favola delle api”, Mandeville chiarisce come il suo intento, nello scrivere “La favola delle api” è stato semplicemente quello di analizzare la natura umana, cioè chi esamina la natura umana con gli occhi dell’anatomista potrà riscontrare come quello che rende l’uomo socievole sono per appunto gli attributi più vili ed odiosi, cioè come direbbe Machiavelli le qualità umane più grevi e volgari, ma che vengono presentate come la forma appropriata di realizzazione del bene comune. In questo senso è possibile riscontrare in entrambi una condivisione di intenti che ci induce a sollevare la domanda: come è possibile, accettando questa diagnosi, favorire la realizzazione di una convivenza in cui, metaforicamente, la natura propria del Signor Hyde si traduca in quella totalità, aspirazione presente nella natura propria del Dottor Jekyll?

Questa domanda inevitabilmente apre la nostra analisi su un orizzonte più articolato, in cui emerge con forza il contributo di Jung.

 

Il contributo di C. G. Jung

Jung scrive: “Bisogna ammettere che il rilievo dato dal Cristianesimo alla spiritualità porta inevitabilmente a una intollerabile svalutazione dell’aspetto fisico dell’uomo, producendo così una sorta di caricatura ottimistica della natura umana” (C.G. Jung, Symbols of Transformation: An Analysis of thè Prelude to a Case of Schizophrenia, 2a ediz., trad. R.F.C. Hull, Bollingen Series XX, vol.5. (Princeton: Princeton University Press, 1956), p.71).

In altre parole secondo Jung l’ombraè la parte repressa e dominata dall’Ego e raffigura quello che non siamo capaci di riconoscere di noi stessi. Infatti è proprio attraverso gli abiti che tendiamo a nascondere quel corpo, che di per sé rivela quello che rinneghiamo a livello conscio. In altre parole proponiamo di noi quella maschera con cui celiamo la nostra rabbia, l’ansia, la tristezza, le costrizioni, le depressioni o i nostri bisogni, smarrendo in questo modo la percezione del corpo. In questo senso una vita fondata unicamente sull’esercizio totalizzante della ragione nega quella vitalità primitiva e naturale che costituisce, secondo Rousseau, la condizione originaria della natura umana. A questo punto ritengo importante precisare come per Jung, se in un primo approccio l’ombra viene a significare l’inconscio personale, in ultima istanza, acquista caratteristiche peculiari, nel senso che viene ad includere l’inconscio personale, nel rappresentare tutto l’insieme degli atteggiamenti dell’individuo non sviluppati. Infatti per Jung la natura dell’ombra è quella di un’unità complessa e multiforme, nel senso che ciò che definiamo come il negativo è parte dell’esperienza umana, compreso unitamente sia sul piano individuale o personale nelle modalità di tendenza all’infantilità o all’autodistruttività, sia nei termini di incubi notturni o nelle visioni, come nelle fantasie più abiette e deprecabili, sia, infine, nelle forme generali di un destino crudele o per sino della morte. Quindi, se possiamo affermare che per Jung l’ombra viene ad includere l’inconscio personale, nel rappresentare tutto l’insieme degli atteggiamenti dell’individuo non sviluppati, altresì potremmo ritenere che la possibilità che la natura propria del Signor Hyde, intesa come ombra, si possa integrare, come processo d’individuazione, cioè come maturazione psicologica della personalità del Dottor Jekyll, strutturata nella relazione dialogica tra inconscio personale e coscienza, dove ogni aspetto della dimensione onirica inconscia deve essere messa in relazione con la personalità del sognatore, nella misura in cui il linguaggio dell’inconscio è costituito dai simboli (i personaggi), mentre i sogni sono i suoi mezzi di comunicazione. Per questo un esame dell’uomo e dei suoi simboli diventa in effetti un esame del rapporto dell’uomo col proprio inconscio. Infatti, per Jung, l’inconscio è la grande guida, il grande amico e consigliere del conscio.

 

Alcune considerazioni sul valore della tesi di Machiavelli e di Mandeville

Alla luce della diagnosi sulla natura umana di Mandeville e di Machiavelli emerge la necessità di ripensare il presente per capire come “Il crollo finanziario, l’emergenza climatica e la pandemia di Covid-19 siano l’esito di una progressiva dissoluzione del sistema valoriale tradizionale in nome di un unico valore, quello del profitto ad ogni costo […] e come tutto questo possa suggerirci come intraprendere una nuova direzione da avviare, verso un’economia orientata alla crescita ma attenta al suo contenuto e alla sua qualità.” (Carney Mark – Il valore e i valori. Un manifesto per ripensare il nostro presente Ed. Mondadori 2021pag.3)

Tuttavia è importante precisare come Machiavelli, anche se viene a condividere la diagnosi di Mandeville, nella sua analisi propone una prospettiva meno negativa, cioè il fiorentino evidenzia come l’uomo ha nelle proprie mani la possibilità di contenere gli effetti di un destino avverso. Per questo mi sembra appropriato prendere in considerazione una metafora che ci propone Catozzella Giuseppe nel suo racconto dal titolo “Alveare”:

Immagina un alveare.

Ne ho avuti due, gemelli, nati di nascosto nella mia camera, in quei trenta centimetri scarsi di muro che separano i vetri della finestra dalle persiane. Li ho lasciati crescere, li ho coltivati, ogni ora del giorno ho controllato da sotto, scostando le tende, il brulicare operoso delle piccole api, le loro cellette esagonali che aumentavano. Ogni tanto aprivo i vetri, mi divertivo a stuzzicarle. Con una bacchetta di ferro piatta e lunga un metro, che avevo sfilato dall’orlo inferiore di una tenda, smuovevo uno dei due alveari, lo toccavo a ripetizione con la punta dell’asticella. Le api non sembravano rendersene conto, non si allarmavano. Eppure dovevano emettere un suono inudibile perché dopo pochi secondi, dal piccolo orto del mio vicino di casa, arrivavano le compagne in soccorso. A quel punto io richiudevo la finestra e le guardavo volare a scatti e convulse, ruotare attorno al loro quartier generale e, completata la ricognizione, ritornare da dove erano venute. A lungo ho lasciato che le loro abitazioni si impilassero l’una sull’altra, si affiancassero, si accatastassero, si accumulassero. Crescevano a vista d’occhio, incontrollabili. Ci ho messo molto ad accorgermi degli alveari e, quando è successo, erano troppo grandi per una rimozione immediata. Così ho chiuso i vetri, per creare una gabbia, e sono rimasto a osservare: prese singolarmente, le api sono piccole, ma tutte insieme diventano grandi, formano come un unico organismo che si ingrossa in silenzio. Si muovono come rabdomanti e scelgono i luoghi che reputano opportuni per sviluppare i loro patrimoni, senza chiedere il permesso. Lavorano senza sosta: in un batter d’occhio sono lì, hanno costruito, si sono ricavate degli spazi. In poco tempo i loro due magazzini-laboratorio sono cresciuti fino a un diametro di circa cinquanta centimetri, erano già quasi sul punto di toccarsi. Le api continuavano ad andare avanti e indietro, si muovevano instancabili, per edificare il loro futuro, la loro ricchezza, la loro dote. Si erano appropriate di parte della mia camera, e io ho iniziato a pensare che non avrei mai avuto il coraggio di fermarle, che si sarebbero conquistate l’intera casa, avrebbero cominciato da quella stanza per poi prendersi tutto. Dopo qualche mese i due alveari erano diventati uno solo, enorme. Un mostro senza forma, una sorta di viscido baco gigantesco, popolato da una nube di minuscole ali infaticabili che avevano perso di vista l’armonia del disegno originario, forse per il fatto che le due costruzioni si erano unite a loro insaputa in una grande larva bitorzoluta, rigonfia e ipertrofica da un lato, affusolata dall’altro. Anche il vento, che aveva soffiato forte per tutta la primavera, doveva aver cesellato quella creazione. Un impressionante fagiolo di bava umida ricoperta dal frastuono invisibile di migliaia di api in movimento, di ronda incessante dal giardino di sotto fino al mio appartamento. Spesso mi sono chiesto perché avessero scelto proprio la mia casa. Credo di aver trovato la risposta. In comune le api, la loro massa sterminata, e la mia casa hanno il silenzio. Non possono che agire nel più assoluto silenzio, scolpite da migliaia di anni di evoluzione che ha tolto rumore alle loro movenze, al loro sostare, alle loro tecniche di insediamento.” (Catozzella Giuseppe Alveare Marzo 2011 – p. 1-2)

In realtà Catozzella, attraverso il suo racconto, viene a presentarci come la criminalità organizzata, in particolar modo quella calabrese e non solo, viene ad insinuarsi nei gangli vitali del paese, compromettendo le potenzialità di sviluppo dell’economia nazionale.

 

Il pensiero di Zygmunt Bauman

Secondo Bauman la condizione di vita dominante che ci appartiene è quella della società moderna-liquida, nel senso che la realtà in cui vivono gli uomini cambia più rapidamente delle trasformazioni dei modi di agire degli uomini stessi, cioè le condizioni di vita sono al centro di un cambiamento più veloce delle capacità di adattamento dell’essere umano, per cui ogni individuo deve correre con tutte le proprie forze per restare nella stessa posizione. Negli ultimi sessant’anni la diffusione del benessere ed il dilagante consumismo hanno profondamente scosso il vecchio ordine, concretizzando nuove libertà e sviluppando una mentalità “eudemonistica”, fondata sulla ricerca incessante di piaceri momentanei e per questo non appaganti. Questa società senza certezze, secondo Bauman, conduce inevitabilmente da un lato ad un indecifrabile caos e dall’altro alla reazione di gruppi sociali che inseguono nuove protezioni e chiusure. Per Bauman la ricerca di nuovi equilibri richiede molto tempo e soltanto i giovani saranno i protagonisti di questo cambiamento, a condizione che le nuove generazioni prendano di petto la sfida dell’incertezza, rinunciando all’illusione che la vita possa essere una sequenza continua di “piaceri e regali”.

Bauman, in un suo saggio pubblicato nel 2013 ha scritto:

“Di norma, i bambini vengono alla luce in un mondo decisamente diverso da quello dell’infanzia ricordata dai loro genitori, e diverso da ciò che questi erano preparati e abituati a considerare come modello di ‘normalità’; loro, i figli, non potranno mai visitare il mondo scomparso che i loro genitori conobbero da fanciulli. Ciò che per una generazione può essere considerato il modo ‘normale’ in cui ‘vanno’ o ‘vanno fatte’ le cose, e in cui quindi ‘dovrebbero’ andare o essere fatte, può essere considerato da un’altra una sorta di aberrazione: uno strappo alla norma, qualcosa di bizzarro o addirittura illecito e insensato, scorretto, abominevole, detestabile e grottesco, che esige disperatamente di essere rettificato. (Bauman Cose che abbiamo in comune Ed. Laterza 2013 p. 9)

Per questo lo stesso Bauman viene a precisare:

La sopravvivenza di tale società e, quindi, il benessere di coloro che ne fanno parte dipendono dalla rapidità con cui i prodotti vengono conferiti alla discarica e dalla velocità e dall’efficienza con cui gli scarti vengono rimossi. […]La costanza, la resistenza e la vischiosità delle cose, inanimate ed animate, costituiscono il più sinistro e grave dei pericoli, sono la fonte delle peggiori paure e il bersaglio delle aggressioni più violente.”

(Bauman La vita liquida Ed. Laterza 2008 pag. 3)

Considerazioni conclusive.

Il racconto di Catozzella fa ricordare come Machiavelli venga a porre l’accento sul fatto che la nostra società possiede i mezzi  a tutti gli effetti, per contenere  ciò che può compromettere la convivenza civile, cioè quel processo dialettico tra libertà privata e libertà pubblica che è la condizione fondamentale di una società democratica. La speranza di un futuro migliore, per questo, sta nella possibilità di realizzare “l’utopia sostenibile” di quel cambiamento che, in modo ancora poco visibile per il grande pubblico e per gran parte dei politici, sta avvenendo in tante persone, soprattutto nei più giovani, in tante imprese, in tanti governi, che vedono nella conversione dell’attuale modello di produzione, di consumo e di organizzazione della società una straordinaria opportunità, anzi l’unica opportunità da cogliere per evitare il collasso prossimo venturo e migliorare il proprio futuro. Nello stesso tempo è importante sottolineare che non possiamo disconoscere, junghianamente parlando, la nostra ombra, cioè quel passato di guerra civile, di lutti, di incontenibili sofferenze il cui frutto è stata la nostra carta costituzionale. Questa ombra è quella memoria che continuamente ci suggerisce su quali binari deve procedere l’Italia, su come ogni italiano è chiamato responsabilmente a caricare sulle proprie spalle il futuro del proprio paese.

Come ebbe modo di dire Calamandrei nel Gennaio 1955 agli studenti milanesi:

La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci

dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità.”

Per tutto questo sono fermamente convinto che, nel momento in cui ognuno avrà la forza ed il coraggio di superare le proprie incertezze, le proprie ansie, le proprie paure, l’Italia, come in passato, sarà in grado di porre le basi di una nuova forma di convivenza civile, rispettosa della dignità di ogni persona.

 

Prof. Alfio Profeti

 

 

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