Max Weber dalla filosofia alla sociologia

Quali sono i presupposti teorici che influenzeranno il pensiero di Max Weber?

Nella seconda metà del XIX secolo si manifestò, soprattutto in Germania, una vivace reazione al Positivismo e al modo di intendere le scienze umane da parte dello Storicismo. Lo Storicismo è stato un movimento filosofico che ha posto l’accento sull’irriducibilità della conoscenza storica a leggi universali e necessarie (come quelle tipiche delle scienze naturali), giungendo a proclamare la superiorità della conoscenza storica su quella delle altre discipline, in quanto solo tale conoscenza sarebbe capace di cogliere gli aspetti individuali e i valori che costituiscono l’essenza più profonda della vita e della realtà spirituale nel suo continuo mutare. I positivisti consideravano le scienze naturali il modello cui adeguare quelle dell’uomo e ritenevano che lo stesso metodo scientifico dovesse essere applicato in ogni campo del sapere (in fisica, in biologia, in sociologia, in storia, ecc.). Anzi pensavano che la ricerca scientifica, sia in campo umano che naturale, servisse a scoprire le leggi generali e a ricostruire i meccanismi insiti nella realtà e a spiegare e prevedere gli eventi. In tale direzione anche la scienza della società serviva non a costruire direttamente una morale razionale, ma a mostrare come una morale razionale nascesse dallo sviluppo della società prodotto dall’applicazione della scienza alla natura. Persino l’interesse della filosofia si rivolse al “fatto delle scienze”. Tale “fatto scientifico” nel significato positivistico era subentrato alla nozione di “dato”, che lo stesso Kant aveva considerato come uno dei presupposti per l’uso dei concetti dell’intelletto, cioè dell’organizzazione dei nostri concetti nell’interpretazione della realtà. Col dominio del Positivismo il “fatto delle scienze” non si limitò alle scienze naturali e al loro campo di applicazione, facendo emergere l’esigenza di ampliare la nozione di scienza. Pertanto i contenuti delle teorie comtiane furono abbandonati o modificati via via che l’attenzione della sociologia cominciò a spostarsi dallo sviluppo della scienza, inteso come asse principale delle trasformazioni storiche, all’organizzazione sociale, che emerse come oggetto autonomo di indagine. Malgrado tutte le sue trasformazioni, la sociologia suggerì che le regole sociali, comprese quelle morali, andavano interpretate non attraverso i loro contenuti espliciti, ‘letterali’, ma tenendo conto della ‘funzione’ che svolgono all’interno del sistema sociale. Gli storicisti tedeschi iniziarono a pensare che lo studio delle vicende umane fosse un campo completamente differente rispetto a quello del mondo naturale, che si trattasse quindi proprio di due diversi ordini di scienza. Per gli storicisti, quando si studia la storia umana (e per esteso ogni ambito del sapere umano), l’intento è cogliere i singoli eventi nella loro individualità, unicità e irripetibilità, mentre nelle scienze naturali si va alla ricerca di leggi universali. Ogni fatto della storia è un evento completamente a sé e va capito come tale (ogni fatto va interpretato nella sua unicità, senza ricorso a leggi generali). Lo scienziato che spiega guarda ai fenomeni dall’esterno, nota gli eventi ripetitivi e inferisce connessioni causali; invece chi è teso a comprendere gli eventi della storia umana si sforza di cogliere le esperienze umane dall’interno, usando l’empatia (il mettersi nei panni dell’altro) e cercando di rivivere su di sé il vissuto altrui, è interessato a ricostruire il mondo mentale degli individui che studia, le loro percezioni, i pensieri e le intenzioni. Per questo nelle scienze storico-sociali le leggi sono ipotetiche e il loro compito è quello di chiarire determinati aspetti del fenomeno, ma non possono esaurirlo.

 

Chi sono i maggiori rappresentanti dello Storicismo?

Dilthey, il caposcuola  dello Storicismo, usò l’espressione scienze dello spirito, per indicare il dominio dei fatti umani, contrapposto a quello degli eventi fisici di pertinenza delle scienze della natura. Egli aveva distinto le scienze della natura dalle scienze dello spirito in quanto le prime studiano il mondo esterno all’uomo e i nessi causali tra i fenomeni fisici e le seconde devono comprendere l’uomo dall’interno, per immedesimazione.

Windelband, aveva invece distinto le scienze nomotetiche da quelle idiografiche nel senso che le prime studiano il ripetersi di fenomeni nel tempo secondo leggi determinate  mentre le seconde studiano i fenomeni nella loro singolarità e irripetibilità spostando dunque il problema dall’oggetto al metodo.

Rickert da parte sua aveva affermato che era necessario far riferimento ad una scala di valori universali per orientarsi nella molteplicità infinita degli eventi storico-sociali e per poter scegliere quelli più significativi.

 

Qual è il rapporto di Weber con lo Storicismo?

Max Weber, trovandosi immerso nel clima intellettuale dello Storicismo tedesco, non si sottrasse all’influenza delle critiche al Positivismo. Dello Storicismo fece propria la lezione della rilevanza della soggettività (per cui le realtà sociali vanno studiate dall’interno a partire dal senso che i partecipanti danno alle loro esperienze). Tuttavia respinse l’idea che la scienza sociale possa fermarsi alla descrizione dei particolari, riducendosi a una collezione di eventi compresi. Certamente il Positivismo sbagliava a guardare i fatti umani dall’esterno (in modo distaccato), escludendo il punto di vista soggettivo, ma aveva ragione a cercare leggi generali e spiegazioni. Per Weber la sociologia deve comprendere le esperienze umane nella loro particolarità, ma, da quello studio, ricavarne “modelli generali”. Infatti, egli riprese il discorso di Windelband e Ricker  correggendolo con la considerazione che, senza una selezione dall’infinità priva di senso di tutto ciò che accade nel mondo, la conoscenza è semplicemente impossibile: la realtà oggettiva, presa così com’è senz’alcuna interpretazione, è solo caos. Ma, se la realtà oggettiva è un caos, per Weber tutta la conoscenza (anche quella scientifica) è possibile soltanto in relazione ad una scala di valori che indichi sia ciò che merita di essere considerato e quale valore attribuire a tale evento.

 

Cosa intende Weber per valore?

Se il criterio per definire una spiegazione scientifica è la sua capacità di produrre spiegazioni causali, una spiegazione causale è possibile, secondo Weber, solo se si adotta un particolare punto di vista e una selezione della realtà da esaminare. Tale selezione si opera con riferimento a dei valori – dove con ‘valore’ Weber non intende il riferimento ad un ambito normativo di carattere universale, ma solo come ciò che ci permette di interrogare la realtà da un qualche punto di vista e di fornire delle spiegazioni che, dunque, saranno in relazione a questi punti di vista ‘valoriali’. Adottando però un particolare punto di vista, prende corpo un costrutto mentale, che Weber chiama “tipo ideale”. Il tipo ideale è uno strumento metodologico, che in realtà opera una riduzione della complessità della realtà, al fine di rendere comprensibile il fenomeno storico che si vuole indagare. Nelle scienze storico-sociali le leggi sono ipotetiche e il loro compito è quello di chiarire determinati aspetti del fenomeno oggetto di studio, ma non possono esaurirlo. Infatti, secondo Weber, si possono inquadrare soltanto alcune cause di un fenomeno, perché in realtà esse sono infinite, per cui non c’è possibilità di esaurire la comprensione di un fenomeno storico-sociale con l’individuazione delle sue cause: si possono solo mettere in evidenza alcuni fattori che, secondo il punto di vista particolare da cui muove la ricerca, hanno condizionato l’emergere della situazione specifica indagata.

Quale posizione Weber assume nei confronti del materialismo storico?

Weber assume una posizione critica nei confronti del materialismo storico, perché, essendo la realtà storico-sociale infinita e non esauribile da un unico punto di vista, l’errore della concezione materialistica della storia non consiste nell’analisi, scientificamente legittima, dei condizionamenti economici ma nell’aver presupposto che tale analisi sia l’unica valida da un punto di vista scientifico, riconducendo tutte le altre all’ideologia. Non è quindi l’analisi ad essere errata ma la presunzione che il punto di vista assunto e il conseguente metodo adottato siano gli unici validi quando invece la medesima realtà storico sociale può essere validamente studiata  con pari legittimità e scientificità da punti di vista diversi. Pertanto, se la concezione materialistica della storia, come studio del condizionamento economico dei processi culturali, può essere considerato un metodo prezioso, come pretesa dogmatica esso va però decisamente rifiutato.   

 

Quali sono i mattoni della sociologia per Weber?

Dopo aver affermato che scienza e conoscenza non sono possibili senza una selezione o un’ipotesi interpretativa, fondata su una relazione con i valori, di un tratto specifico della realtà che si considera come significativo a scapito di altri, Weber si trova nella necessità di dimostrare quali possibilità ha la scienza sociale di essere oggettiva. Weber afferma a questo proposito che l’oggettività delle scienze sociali è garantita dal metodo. La sociologia deve designare una scienza, che si propone di intendere, in virtù di un procedimento di interpretazione, l’agire sociale e quindi spiegarlo casualmente nel suo corso e nei suoi effetti. Definito quindi che l’oggetto della sociologia è “l’agire sociale”, Weber  passa a chiarire che cosa debba intendersi per agire, in termini di agire sociale e di interazione sociale. Per Weber, il portatore di senso delle azioni è soltanto l’individuo, di conseguenza, se vogliamo capire realtà come le istituzioni, le religioni, le economie, la politica, ecc., dobbiamo partire da come i singoli individui percepiscono e intendono la realtà, la vita, le cose quotidiane. Da ciò emerge che per Weber i mattoni della costruzione della sociologia sono le azioni individuali, per cui la ricerca comincia sempre dalla comprensione di ciò che fanno i singoli. Per studiare le azioni sociali occorre però il “procedimento interpretativo”, basato sull’empatia e sulla riproduzione dei vissuti altrui. Tuttavia, affinché i risultati ottenuti abbiano dignità di discorsi scientifici, l’interpretazione non può ridursi a descrivere casi singoli, ma deve sfociare in una concettualizzazione abbastanza generale da consentire spiegazioni e teorie. Per Weber ciò che si ricava dalla comprensione delle azioni sociali è appunto il “tipo ideale” (Idealtypus), cioè un particolare modello concettuale. Il concetto di idealtipo somiglia a ciò che in filosofia della scienza si chiama modello e si distingue dalla teoria, perché, a differenza di questa, il modello non pretende di riprodurre esattamente la realtà. Esso consiste in un “costrutto concettuale” con un grado di generalità intermedia tra quelli assai astratti dei positivisti e quelli troppo particolari degli storicisti. Da un lato non perde di vista le peculiarità della situazione specifica, dall’altro consente di fare confronti tra situazioni simili. Il tipo ideale viene quindi ricavato dalla realtà concreta, ma se ne discosta, perché il ricercatore seleziona determinati elementi, ne accentua alcuni più di altri e crea un complesso di collegamenti più unitario e coerente di quello che nei fatti esiste. Ovviamente il tipo ideale costituisce un’astrazione concettuale della realtà empirica. Nella realtà non troviamo praticamente mai il tipo ideale, non solo in quanto è un’astrazione concettuale, ma anche perché di solito più tipi ideali si mescolano a formare il tipo concreto (nella realtà nessun individuo ha tutti i tratti ascritti al modello). Il tipo ideale, scrive Weber, “è ottenuto mediante l’accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista, e mediante la connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti…. Nella sua purezza concettuale questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente nella realtà; esso è un’utopia”. Il tipo ideale è uno strumento euristico, un mezzo utile nella ricerca. Offre infatti un parametro di riferimento per inquadrare ciascun caso concreto, vedendo quanto se ne avvicina o discosta e fa da base per instaurare confronti. (ad esempio possiamo richiamarci ad alcuni tipi ideali in cui potremmo essere coinvolti: lo studente italiano tipo, l’insegnante italiano tipo, il cattolico tipo, ecc.).

 

Qual è la differenza tra agire sociale ed interazione sociale?

Weber sostiene che la sociologia ha il compito di studiare le forme dell’agire sociale evitando sia le pretese del positivismo di interpretare i fenomeni sociali secondo il modello quantitativo delle scienze naturali, sia l’approccio riduttivo dell’economicismo marxista. La società non è costituita da oggetti fisici, ma da soggetti che nella loro azione razionale si pongono degli scopi e hanno dei valori. Però l’agire è tale soltanto se è dotato di senso, cioè quando l’agire viene prodotto contestualmente ad  un’attribuzione di significato da parte dell’attore all’azione (ossia quando l’azione ha una motivazione individuale). Pertanto, non è agire un’azione di tipo puramente reattivo (ossia quando non c’è motivazione non si ha azione ma “comportamento”, anche se empiricamente può essere difficile distinguere tra comportamento e azione orientata tradizionalmente).

 

Quand’è che l’azione ha un “senso”?

L’azione ha “senso” quando il senso è attribuito da un soggetto agente (che può essere inteso come individuo o anche come gruppo o come media di soggetti agenti);  quindi senso intenzionato soggettivamente, quando ad attribuire senso all’azione è un soggetto assunto come “tipo ideale” (cioè un modello).

L’agire, in senso lato, può comprendere un agire interno ed un agire esterno. L’agire esterno è quell’agire in cui l’attore ha come riferimento (per cui è orientato) il mondo esterno, ossia gli altri; invece l’agire interno è  un agire di tipo riflessivo (autoreferenziale)  in cui l’attore ha come riferimento se stesso.

Si ha agire sociale quando il senso attribuito all’azione è orientato  verso altri soggetti individuali (cioè quando la motivazione individuale dell’attore è diretta verso altri soggetti individuali).

 

Perché è importante per Weber il “significato” dell’agire?

Weber intende  il significato dell’agire non in rapporto all’osservatore, ma in rapporto al significato che lo stesso soggetto agente attribuisce al proprio agire. Per Weber l’azione può essere razionale in quanto tende a raggiungere scopi con mezzi considerati validi (razionalità rispetto allo scopo). La scienza non può dunque dare giudizi di valore, in quanto questi si basano su determinati ideali e sono perciò di origine soggettiva. Compiere la scelta è cosa che riguarda esclusivamente il soggetto agente. La scienza può, semmai, conferire consapevolezza a chi agisce che ogni agire, come pure il non agire, ha sempre delle conseguenze e pertanto significa prendere posizione in favore di determinati valori rispetto ad altri. La scienza può perciò indicarci quali mezzi sono più idonei per raggiungere il fine che ci siamo proposti in relazione alla loro efficacia, e può insegnarci a considerare i fini che ci siamo proposti criticamente (solo nel senso di assenza di contraddizione interna di ciò che vogliamo). Su questi presupposti risulta chiaro che, per Weber, la scienza deve far suo il principio della avalutatività nel senso che tutto ciò che essa può fare è giudicare l’efficienza  delle scelte rispetto alle mete che si vogliono raggiungere, ma la scelta di queste mete esula dalla scienza e diventa questione di fede risolvibile solo dalle religioni positive.

 

Quali sono per Weber i fondamenti determinanti l’agire sociale?

Se consideriamo i fondamenti che Weber rende espliciti a proposito dell’agire sociale, riscontriamo che egli intende le azioni riconducibili all’agire sociale non in rapporto all’osservatore, ma sempre in rapporto al significato che il soggetto agente attribuisce al proprio agire. Dalla riflessione condotta da Weber sull’agire sociale, emergono i seguenti quattro fondamenti determinanti l’agire sociale stesso:

  • agire in modo razionale rispetto allo scopo: che si ha quando l’attore concepisce chiaramente il fine e combina razionalmente i mezzi per il suo  conseguimento (es: l’ingegnere che costruisce un ponte);
  • agire in modo razionale rispetto al valore: che si ha quando l’attore agisce razionalmente non per conseguire un risultato pratico ma per rimanere fedele ad un suo principio (es.: il capitano che cola a picco con la sua nave)
  • agire affettivamente: che si ha quando l’azione riflette uno stato d’animo;
  • agire tradizionalmente: che si ha quando l’azione riflette abitudini acquisite dall’attore.

 

Cosa intende Weber per relazione sociale?

Avendo la sociologia come  ambito problematico l’azione sociale e la relazione sociale, Weber chiarisce cosa debba intendersi per relazione sociale:

“si ha relazione sociale quando il comportamento di più individui è instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso e orientato in conformità.” In altre parole, affinché si abbia relazione sociale è necessario, per Weber, che entrambe le parti che agiscono attribuiscano un minimo di senso comune al  loro agire.  Non si tratta necessariamente di solidarietà (es. nella lotta), ma ciò che è necessario è che il senso attribuito all’azione dalle parti deve essere comune (cioè tutte le parti devono dare all’agire lo stesso significato).

Il concetto di agire dotato di senso, con particolare riferimento all’agire sociale, porta alla centralità del verstehen (ossia del comprendere) cioè dell’elemento della comprensione. Se l’agire è legato ad un significato interno, occorrerà allora comprendere questo significato interno.

 

Qual è il compito primario della sociologia?

Il compito primario della sociologia per Weber è quello del verstehen, cioè ricostruire gli estremi del significato interno della condotta. Ma, pur affermando e ribadendo l’importanza della comprensione, per Weber il verstehen da solo non esaurisce il compito della sociologia.

 

Qual è il secondo momento della sociologia?

Il secondo momento fondamentale è quello costituito dall’analisi causale del comportamento. Per questo, il grande contributo di Weber è stato quello di mettere insieme “comprensione” (cioè l’analisi e l’intelligibilità del vissuto) e “spiegazione” (cioè ricostruzione) di un’imputazione di tipo causale. Possiamo dunque riconoscere che la grande svolta metodologica di Weber è stata quella di mettere insieme la comprensione (cioè l’interpretazione che è costituita da un atteggiamento di tipo intuizionista dell’osservatore nei confronti dell’attore) e di trasferire questa componente in un secondo spazio del lavoro sociologico che è quello della spiegazione causale. Perciò, se diciamo che l’uomo è guidato dai sentimenti (credenze, pregiudizi, ecc.), occorre riuscire a trasformare questi sentimenti in variabili che mi mettano nelle condizioni metodologiche di dire che quando l’uomo ha certi sentimenti, da questi stessi sentimenti ne scaturisce un determinato comportamento. Se noi trasformiamo in variabili ciò che è alla base della soggettività dell’uomo, potremo poi fare un’analisi causale di questo dominio empirico identica all’analisi causale che si fa nelle scienze esatte. Tale analisi consente il controllo della realtà, che, essendo reso possibile dalla sua razionalizzazione, determina un’organizzazione della società ad esso adeguata.

 

Qual è il principio del politeismo dei valori di Weber?

Per Weber la vita è concepita come una lotta tra una pluralità di valori irriducibili l’uno all’altro. Weber insiste sull’avalutatività della scienza nel senso che essa può avere solo funzioni strumentali  rispetto ai fini che i politici vogliono raggiungere ma non può esprimere per essi giudizi di valore. Per questo egli definisce la razionalità dell’agire umano quando afferma che “azione razionale appare quell’azione che mira a determinati fini scelti liberamente dall’attore, senza condizionamenti affettivi o coazioni, e per raggiungimento dei quali egli sceglie mezzi adeguati”.

La razionalità per Weber non è dunque effettiva conoscenza delle condizioni di vita che ci circondano ma consapevolezza che l’uomo ha la capacità di raggiungere le mete che vuole grazie al suo controllo razionale della realtà.

 

Quali sono le forme di potere presenti nella società?

In riferimento al potere presente nella società, Weber distingue innanzitutto  il potere (o autorità) dalla potenza.

Potere (o autorità) è la possibilità che un comando determinato trovi obbedienza presso certe persone e solitamente, ma non necessariamente, questo tipo di potere comporta un apparato amministrativo.

Potenza (o potere) è la possibilità di far valere la propria volontà anche di fronte ad un’opposizione.

Il potere si distingue dalla potenza in quanto legittimo.

 

Quali tipi di autorità o potere Weber esamina dal punto di vista sociologico?

Weber opera una distinzione tra tre tipi di potere indipendentemente da circostanze storiche specifiche. Si tratta di tipi puri, ideali, quindi di uno schema di riferimento per lo studio delle diverse configurazioni in cui di fatto il potere si presenta.

In riferimento alla validità della loro legittimità i tre tipi puri  di potere  (autorità) per Weber sono:

  • potere legale – che si  basa sul riconoscimento dell’autorità di ordinamenti statuiti e del diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare tale potere in base ad essi (potere a carattere razionale). In questo caso si obbedisce alla “legge” e alle persone “preposte” dall’ordinamento stesso a farla osservare e non alla persona in quanto tale.
  • potere tradizionale – che si ha quando il diritto di esercitare il potere è conferito dal carattere sacro della tradizione valida da sempre e nella legittimità di coloro  che in base ad essa sono chiamati a rivestire tale autorità. In questo caso si obbedisce al “signore”, al “re”, come persona designata dalla tradizione, in virtù della reverenza da parte di coloro che la riconoscono.
  • potere carismatico – che si ha quando il diritto di esercitare il potere è conferito in virtù del riconoscimento di qualità eccezionali, eroiche, straordinarie proprie di un individuo. In questo caso si obbedisce al “duce”, in quanto tale, designato carismaticamente in virtù della devozione che ha saputo conquistarsi grazie alle sue eccezionali qualità.

 

In cosa consiste la distinzione tra etica dei principi ed etica della responsabilità?

Di fronte ad un mondo che di per sé manca di significato, sta agli uomini attribuirgliene uno: proprio in forza del disincantamento del mondo. Il disincantamento, ovvero la razionalizzazione dell’agire, ha comportato nella società una maggiore autonomia e libertà dell’uomo rispetto al passato. Ma secondo Weber esiste un’etica della

Responsabilità, che deve presiedere l’azione razionalmente utile.

Il “politeismo dei valori” si declina nell’etica sotto forma del dualismo tra l’etica dei principi (detta anche etica delle intenzioni o delle convinzioni) e l’etica della responsabilità. La prima forma di etica fa riferimento a principi assoluti, che assume a prescindere dalle conseguenze a cui essi conducono: di questo tipo sono, ad esempio, l’etica del religioso, del rivoluzionario o del sindacalista, i quali agiscono sulla base di ben precisi principi, senza porsi il problema delle conseguenze che da essi scaturiranno. Invece l’etica della responsabilità agisce tenendo sempre presenti le conseguenze del suo agire: è proprio guardando a tali conseguenze che essa agisce. Sicché l’etica dei principi e quella della responsabilità sono due etiche opposte e inconciliabili, che fanno capo a due diversi modi di intendere la politica. l’etica dei princìpi è, in definitiva, un’etica apolitica, come è testimoniato dal Cristiano che agisce seguendo i suoi principi e senza chiedersi se il suo agire possa trasformare il mondo. Al contrario, l’etica della responsabilità è indissolubilmente connessa alla politica, proprio perché non perde mai di vista (e anzi le assume come guida) le conseguenze dell’agire.

 

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