25 marzo 2014 - APPUNTI, Filosofiamo    No Comments

Perchè Cartesio va alla ricerca di un metodo in Filosofia

Cartesio ritiene che tutti gli uomini, in quanto dotati di “buon senso” (cioè di una ragione comune ed universale), possano ricercare la verità in ogni campo del sapere, purchè usino un adeguato metodo d’indagine. Tale metodo, per lui, è analogo a quello della matematica, perché basato su un procedimento rigoroso e sulla semplicità degli oggetti di conoscenza.

E’ bene ricordare che Cartesio, come Galilei, assume la matematica come mezzo più idoneo a penetrare la struttura del mondo, anche se Galilei si limita ad ipotizzare che le proprietà dei corpi, che non si possono sottoporre a misura, siano solo nel soggetto senziente, rifiutando così di indagare le “essenze qualitative”. Però Cartesio, più sistematico, eleva la matematica a strumento universale del sapere, ritenendo che una nuova metodologia sia indispensabile per aprire la possibilità di una riforma del sapere combinata con la riforma dell’uomo e con l’instaurazione di una saggezza troppo a lungo smarrita. In tale riforma del sapere, egli si preoccupa di ordinare le discipline paragonandole ad un albero, in cui le radici (che costituiscono la metafisica) sostengono il tronco (rappresentato dalla fisica) e dal quale si dipartono i rami costitutivi le altre scienze. La metafisica, pur essendo nascosta, è la base e lo strumento necessario per l’esistenza delle altre discipline.

Tuttavia secondo Cartesio, soltanto mediante un adeguato metodo di indagine, l’intelligenza è utilizzabile per:

  • scopi teoretici, se rivolta alla certezza della verità. In questo caso Cartesio ricorre al metodo, basato su un procedimento rigoroso (simile a quello della matematica) e sulla semplicità degli oggetti di conoscenza.
  • Scopi pratici, se rivolta al progresso civile e materiale (utilità della conoscenza nel senso baconiano del termine).

Il metodo, che Cartesio ricerca e che ritiene di aver trovato, è dunque una guida per l’orientamento dell’uomo nel mondo: infatti esso deve condurre ad una filosofia non puramente speculativa, ma anche pratica, per la quale l’uomo stesso possa rendersi possessore e signore della natura. A tal fine il metodo deve essere un “criterio unico e semplice di orientamento”, che serva proprio all’uomo in ogni campo teoretico e pratico e che abbia, come ultimo fine, il suo vantaggio nel mondo.

Di conseguenza, tenendo presente il procedimento matematico, Cartesio chiarisce che il metodo da lui individuato con una ricerca metafisica si basa su “quattro regole fondamentali”, attraverso le quali edificarne il valore assoluto ed universale e quindi dimostrandone la fecondità nelle varie branche del Sapere. L’osservanza di queste “quattro regole” è rigorosa ed esse consistono in:

  1. regola dell’evidenza, in base ad essa solo le idee chiare e distinte sono considerate vere, perché devono essere accolte come vere dalla nostra mente solo quelle idee che si presentano a noi con “chiarezza” (senza che alcuno dei loro aspetti ci resti ignoto) e con “distinzione” (ovvero che siano nitidamente separate le une dalle altre);
  2. regola dell’analisi o della scomposizione: impone la scomposizione del problema nelle sue parti elementari, perché problemi grandi devono essere sempre scissi in parti più semplici, fino a giungere ad un problema, la cui soluzione sia più facile, o perché deducibile da premesse evidenti o perché intuitivamente evidente;
  3. regola della sintesi: prescrive il passaggio graduale dalle conoscenze semplici alle conoscenze complesse, in quanto consiste in un processo di ordinazione dei pensieri appunto secondo il grado di complessità (da una minore ad una maggiore), anche se una volta giunti alla soluzione è necessario ricostruire sinteticamente il percorso effettuato partendo dalla soluzione data al problema più semplice;
  4. regola dell’enumerazione completa: consiste nella revisione rigorosa di tutte le fasi precedenti del processo conoscitivo in modo da essere sicuri di non aver omesso alcunchè.

Tale metodo, le cui regole si modellano appunto sulla matematica, consente all’uomo di:

  • superare i limiti, dovuti alla debolezza della volontà ed ai pregiudizi;
  • ragionare in modo non casuale, ma ordinato.

Come abbiamo visto, per Cartesio le certezze matematiche sono superiori a quelle conseguite dalla filosofia e dalle altre scienze, per questo la matematica deve essere assunta come modello di rinnovamento di tutto il “Sapere”. Ma questo non basta!

Quindi per tale ragione egli si propone di trovare, da un lato, un “criterio di verità indubitabile”, che garantisca l’universale applicabilità delle “quattro regole” del suo metodo a tutto il Sapere, sottraendole da possibili obiezioni scettiche, e, dall’altro lato, di risolvere, di conseguenza anche di poter spiegare, alcune grandi questioni di metafisica generale (come il problema dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima), per poter mostrare la perfetta compatibilità della scienza moderna con la fede cristiana, nonostante il crollo delle tradizionali fondamenta della metafisica aristotelico-scolastica.

Allo scopo di dare così un fondamento razionale all’intero Sapere, che egli intende edificare, Cartesio ricerca questo fondamento certo ed indubitabile del sapere stesso attraverso il “dubbio metodico”, in base al quale viene respinto tutto ciò che è sospettabile di falsità, a partire dalla realtà sensibile (perché i sensi ci ingannano) fino alle stesse conoscenze matematiche (perché può esistere un genio maligno che le alteri). Il dubbio universale da applicare a tutte le conoscenze, a cui ricorre Cartesio, non è simile a quello scettico, perché Cartesio ha piena fiducia nella ragione, che comunemente è posseduta da tutti gli uomini, tant’è che la divergenza di opinioni che spesso si manifesta dipende solo dai diversi modi con cui ogni individuo orienta la ragione. Semmai il dubbio, di cui si avvale Cartesio, è da intendersi come “metodico”, vale a dire come processo mediante il quale eliminare tutte le opinioni non sufficientemente controllate. Inoltre tale dubbio è iperbolico, perché con esso Cartesio giunge alla demolizione di ogni certezza. E’ così che mediante il dubbio, Cartesio coglie che l’unica certezza, che si è sottratta al dubbio iperbolico, è data solo dal proprio esistere come pensiero, ossia dal “cogito ergo sum”. In tal modo Cartesio giunge ad un primo fondamento sicuro, costituito dunque dal principio del “cogito”, perché posso dubitare di tutto, tranne del fatto che io stesso stia dubitando, cioè pensando e quindi esistendo come essere pensante. Ergo sum: penso dunque sono! E’ così che il “cogito”:

  • non è un pensiero astratto e intemporale né un sillogismo;
  • è una intuizione immediata, che coincide con l’esperienza in atto del pensare.

Per Cartesio il “cogito” dà la certezza dell’Io come soggetto pensante (res cogitans) e, come tale, risulta che l’Io è una “sostanza”, o meglio una realtà effettiva o indiscutibile.

A questo riguardo va precisato che Cartesio considera il concetto di ”sostanza” (o realtà uguale res) in due distinti significati fondamentali: pensiero (o res cogitans) ed estensione (o res extensa). E’ in merito a ciò che Cartesio si chiede: “cosa posso conoscere di me stesso?” A ciò risponde: “posso dubitare di tutte le mie caratteristiche e facoltà, tranne del pensare. Io sono dunque per certo una cosa che pensa, cioè dubita, intende, afferma, nega, ecc. e può anche sentire.”

Però, se il sentire relativamente al suo contenuto (riferito alle sensazioni) può essere sottoposto al dubbio, d’altro canto in quanto facoltà del pensiero, tenuto conto che il soggetto non si limita formalmente ad avere delle sensazioni ma è cosciente di sentire, quest’ultimo sentire corrisponde al mio pensare. Nasce da qui l’interrogativo cartesiano: ma cosa posso allora conoscere con certezza dei corpi? Per saperlo devo affidarmi soltanto al “pensiero”. Ma poiché le qualità sensibili sono mutevoli e come tali non presenti nel pensiero stesso, devo quindi cercare qualcosa che rientri necessariamente nella loro natura e che possa concepire a priori con la mente, vale a dire indipendentemente dall’esperienza e dalle mie sensazioni empiriche, in base alle quali tutti i corpi occupano uno spazio, per cui sono estesi. Se dunque la natura del mio essere è una sostanza che pensa (res cogitans), quella del corpo è di essere una sostanza estesa (res extensa). Ma per quanto riguarda la sostanza estesa, Cartesio è costretto di nuovo a richiamarsi al criterio di verità, in base al quale una cosa è vera se concepita come chiara e distinta. Però il dubbio sulla possibile presenza di un genio maligno ingannatore pone un limite alla certezza dell’estensione. Quindi per Cartesio, solo se saprò dimostrare che Dio esiste avrò una conferma metafisica del mio criterio di verità. Anzi, finchè il dubbio iperbolico non sarà superato, dimostrando l’impossibilità dell’esistenza di un genio maligno, l’estensione ed il valore del suo criterio di verità sono piuttosto limitati ed inaffidabili. Come abbiamo visto fin qui, il “criterio di verità” garantisce solo l’evidenza del “cogito” (cioè della res cogitans), ma non va oltre ciò che percepisco al presente in me. Per dimostrare l’esistenza di Dio (cioè di un essere perfetto e quindi non ingannatore), Cartesio muove dall’idea innata di Dio connaturata alla mente.

Secondo Cartesio, fra le idee, che l’uomo possiede, possiamo individuarne tre tipi: alcune sono innate; altre sono avventizie nel senso che provengono dal mondo esterno; altre, infine, sono fittizie, in quanto sono prodotti della fantasia. Tutte le idee possono considerarsi sotto due punti di vista: sia come modi del pensiero (ovvero come realtà formale), sia come rappresentativi di qualche cosa (vale a dire come realtà oggettiva).

Sulla base di ciò constatiamo che, in quanto “modi cogitandi”, le idee non presentano tra loro differenza sostanziale, perché, dal momento che dubito dell’esistenza del mondo esterno, persino la distinzione tra idee innate, fittizie ed avventizie perde di significato. Invece dal punto di vista della loro “realtà oggettiva”, le tre tipologie di idee considerate sono molto diverse tra loro. Inoltre se io, come abbiamo visto, sono sicuramente una cosa che pensa, sono finito perché dubito, potrei essere la causa di tutte le idee che sono in me, ma solo e semplicemente di quelle, ad esclusione dell’idea di Dio, perché essa è idea di qualcosa di infinito e, come tale, non appartiene al mio essere finito e quindi dubitabile. Secondo Cartesio non avremmo in noi l’idea di Dio, se non ci fosse stata data a sua volta da una sostanza (o realtà) dalla natura infinita e cioè Dio stesso. Da ciò Cartesio fa seguire una seconda prova dell’esistenza di Dio, che si fonda sul principio di causa efficiente ed in tal senso chiarisce ponendo il seguente fondamentale interrogativo: “se io possiedo l’idea di Dio, potrei esistere se Dio non esistesse? Da chi avrei ricevuto altrimenti il mio essere? Se fossi io generatore del mio essere, non dubiterei e non avrei altro che certezze, perché sarei io stesso Dio.” Oltre a ciò, Cartesio formula una terza prova a sostegno della tesi dell’esistenza di Dio, che si fonda sull’idea di Dio come essere perfettissimo: se Dio ha tutte le perfezioni, dunque Dio esiste. Ma se Dio così concepito esiste, egli non può essere malvagio, perché ciò comporterebbe un’imperfezione. Da tutto ciò Cartesio conclude che, applicando la “facoltà di giudicare”, che abbiamo ricevuto da un Dio perfettissimo, non ci potremo mai ingannare. In tal modo Cartesio torna a chiedersi: “cosa posso conoscere allora delle cose in quanto oggetti di idee chiare e distinte?”

 

 L’importanza del metodo nella morale

Cartesio rileva che ciò che l’animo concepisce in maniera distinta dell’essenza delle cose materiali corrisponde all’estensione dei corpi: le loro qualità geometrico-meccaniche. Però tali conoscenze derivano solo dai sensi, perché vi è una grande differenza qualitativa tra ciò che si percepisce nel pensiero e ciò che si vede nei corpi. A questo proposito Cartesio opera una distinzione tra pensiero ed immaginazione, precisando che pensare qualcosa significa concepirla chiaramente e distintamente, mentre immaginarcela vuol dire raffigurarsela sensibilmente. L’immaginazione dunque non dipende dallo spirito, ma dall’unione dello spirito con il corpo che percepisce. E’ per tutto ciò evidente che ci siano dei corpi (sicuramente almeno uno, il mio), altrimenti il fenomeno dell’immaginazione è inspiegabile. La pura cognizione delle proprietà geometriche delle cose materiali ci dà la probabilità dell’esistenza delle cose materiali stesse, mentre l’immaginazione dimostra che l’esistenza delle cose materiali e possibile. E’ solo Dio il garante dell’esistenza dei corpi materiali e per questo bisogna ammettere che essi esistono. E’ così che Cartesio giunge a sostenere che l’uomo, anche se è unito ad un corpo, quest’ultimo è differenziato dalla facoltà del pensiero, perché l’idea di estensione è distinta da quella di sostanza pensante. Nel suo operare l’uomo deve lasciarsi guidare sempre e solo dalla ragione, perché con la ragione l’uomo deve riuscire a governare le passioni, che agitano e travagliano l’anima. La ragione è per Cartesio una candela che ci illumina la strada e, pur essendo una luce flebile, è la sola fonte luminosa di cui disponiamo. E’ la ragione che deve dunque primeggiare sul corpo, in quanto essa impara ad avere una conoscenza chiara e distinta delle passioni e dei loro meccanismi, in modo da poterle controllare e dirigere verso i fini desiderati. Pertanto, nel conflitto che si agita tra il corpo con i suoi spiriti animali e l’anima con la sua volontà proprio in quel punto d’incontro, che è la ghiandola pineale, è l’anima che deve valersi sempre sul corpo, perché per Cartesio la saggezza, che aiuta l’uomo ad evitare gli errori, risulta dalla capacità di saper controllare le passioni, quindi dalla facoltà di vivere sempre secondo ragione. Però Cartesio è consapevole che, come deve avvenire nell’ambito delle conoscenze teoriche, sul piano pratico non è sempre possibile sospendere il giudizio finchè non si è giunti all’evidenza. Per tale ragione egli formula una morale provvisoria, articolata nelle seguenti quattro regole:

1 ) obbedire alle leggi e ai costumi in vigore nel proprio paese e di mantenere la religione nella quale si é stati educati ;

2 ) perseverare con risoluzione nella decisione presa , sebbene essa possa sembrare dubitabile nel corso dell’ esecuzione : occorre portare a termine ciò che é stato intrapreso ;

3 ) cercare di dominare se stessi piuttosto che la fortuna e di cambiare i propri desideri piuttosto che l’ ordine esterno delle cose ;

4 ) dedicare tutta la vita allo sviluppo della ragione e alla ricerca della verità .  

 

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