Prof.ssa Elena Profeti – Introduzione alle Scienze Umane

Prof.ssa Elena Profeti

Introduzione alle Scienze Umane

I perché dell’esistenza, i valori che guidano l’agire, il richiamo dello spirito a una dimensione di trascendenza, in una parola tutti i motivi del comportamento umano rappresentano delle costanti del pensiero, in ogni epoca e latitudine.

È per tale motivo che la Filosofia e le più recenti Scienze Umane occupano, tradizionalmente, uno spazio comune all’interno delle sistematiche divisioni del sapere.

I riferimenti di indagine delle Scienze Umane

L’Antropologia:

Nata alla fine del XIX secolo come un ramo delle scienze naturali, l’antropologia, che letteralmente significa “discorso sull’uomo”, si occupa dell’essere umano dal punto di vista comportamentale, culturale ed evolutivo, considerandolo anche nel rapporto con l’ambiente naturale.

La Pedagogia:

In origine indicava la sola professione dell’educatore, ma è a partire dal XVII secolo che si elabora il primo sistema pedagogico all’interno del quale fine etico e strumenti didattici si trovano riuniti in un unico pensiero teorico.

La Psicologia:

È possibile definire l’intelligenza? Quali sono i processi di apprendimento e quali le tappe dello sviluppo del linguaggio? Sono molte le domande a cui tenta di risponderela Psicologia, definita come la scienza che studia il comportamento umano.

La Psicoanalisi:

Gli aspetti nascosti della psiche custodiscono la chiave per comprendere il comportamento dell’individuo e la psicoanalisi, secondo le parole di Freud, è la scienza dell’inconscio e al tempo stesso un metodo di cura.

Sociologia:

Il termine fu usato per la prima volta da Comte, alla metà del XIX secolo, per designare quella disciplina che si occupa dei fenomeni sociali. Elaborazioni teoriche su tali fatti erano state, fino a quel momento, patrimonio di etica e politica.

Una grande famiglia

Le Scienze Umane studiano l’uomo nel complesso delle sue relazioni Umane.

Esse rappresentano una famiglia di discipline che pongono l’accento sul comportamento dei singoli e dei gruppi.

Esistono delle “leggi generali” che regolano queste interazioni? Se la risposta è si, Le scienze Umane tentano di scoprirle.

La psicologia ad esempio fa parte delle scienze Umane.

Questa disciplina entra nel mondo di ciascuno per cercare di capire cosa origina un determinato comportamento.

Ma anche la sociologia è una disciplina della famiglia delle scienze umane.

Questa disciplina va al di là dei singoli individui, cercando di mettere in risalto quelle istituzioni che, solitamente, pre-esistono all’individuo e, in buona parte, gli sopravvivono (Es. la famiglia, lo Stato, i sindacati, la Scuola, i partiti politici ecc.).

L’antropologia culturale, che studia le diverse civiltà e culture mettendole a confronto, soprattutto quelle che ci appaiono lontane dalla nostra.

Naturalmente esistono molte altre discipline che fanno parte della famiglia delle scienze umane: l’etologia (studia il comportamento animale con una prospettiva di illuminare eventualmente aspetti del comportamento umano), la geografia antropica (studia in che modo un fenomeno sociale è distribuito sul territorio), le scienze della formazione (si interessano come istruire ed educare le persone in modo da armonizzarle al contesto sociale che dovranno affrontare) ed altre ancora.

Un fenomeno sociale: l’aggressività

Abbiamo visto che esistono diverse discipline all’interno della grande famiglia delle scienze umane.

Ogni fenomeno sociale, ogni evento, ogni fatto sociale, che ha una rilevanza relazionale, può essere osservato e studiato da un punto di vista diverso, un punto di vista specifico per ogni singola disciplina.

Lo psicologo, il sociologo, l’antropologo, avranno ciascuno un proprio modo di interpretare lo stesso fatto sociale. Tutti questi modi però sono “complementari”, si completano l’uno con l’altro.

Facciamo un esempio: l’aggressività

Come valutare l’aggressività all’interno delle scienze Umane? L’aggressività è sicuramente un fenomeno sociale. Chiederemo a ciascuna disciplina di valutare dal proprio punto di vista un singolo episodio aggressivo.

Il primo passo è tentare di dare una definizione. Che cosa intendiamo per aggressività?

“C’è aggressività ogni volta che un individuo fa qualcosa che mira a provocare un danno, fisico o morale a un altro individuo o a se stesso”.

Questa prima definizione pone un perimetro ben preciso:

  • chi aggredisce bisogna che sia consapevole del danno che provoca;
  • il danno può essere sia fisico che morale;
  • si può essere aggressivi anche contro se stessi.

Anche quei politici che fanno lo sciopero della fame usano metodi violenti. Sebbene questi sono rivolti contro se stessi.

Le scienze Umane devono andare più a fondo del senso comune che, spesso, si accontenta di spiegazioni superficiali e ovvie.

Episodi di violenza sono davanti agli occhi di tutti. Ci sono tanti modi per essere violenti. Il mondo è tormentato dalle guerre. La violenza è negli stadi, nelle discoteche, per le strade, perfino nei luoghi che riteniamo sicuri, come la famiglia.

Data una prima definizione, dobbiamo farci ora una serie di domande:

Perché in natura esiste l’aggressività?

Perché quel tale è stato aggressivo?

Perché quel gruppo ha aggredito la tifoseria della squadra avversaria?

Tutti gli uomini sono aggressivi?

Queste sono solo alcune delle domande che ci tormentano. Noi vorremmo debellare l’aggressività dalla terra, fare in modo che tutti possano vivere in pace.

E’ possibile debellare la violenza in modo definitivo dalla terra?

In un famoso carteggio del 1932 fra lo scienziato Einstein e Freud, il fisico tedesco chiede a Freud se l’umanità può sperare di non ricadere più nell’esperienza della guerra.

Einstein propone di fondare un’autorità superiore che, pacificamente, possa mettere fine alle controversie delle nazioni.

Un po’ come la società delle Nazioni, costituita nel 1919 dopo la prima guerra mondiale. Oppure come l’ONU, costituita dopo la seconda guerra mondiale.

Però, Einstein stesso si rende conto che bisogna andare in profondità, e cercare di capire con la psicologia e, in generale con tutte le scienze Umane, quale funzione svolge la violenza nell’individuo e nella società.

Veniamo ad un esempio particolare e cerchiamo di analizzarlo.

Nel 1985, nello stadio di Heisel a Bruxelles, prima della partita Juventus -Liverpool, i tifosi inglesi aggredirono quelli italiani. Il bilancio fu drammatico: 39 morti e decine di feriti.

Rapporto fra frustrazione e aggressività

Il punto di vista dello psicologo:

La frustrazione è un senso di fallimento e di sconfitta che sopraggiunge quando vogliamo raggiungere una meta e qualcosa o qualcuno ci impedisce di farlo (magari in un modo che riteniamo ingiusto).

All’università americana di Yale, nel 1939 si svolsero numerosi esperimenti che misero in luce che persone frustrate hanno maggiori probabilità di essere violente.

I      ricercatori Berkowitz e LePage formarono due gruppi di studenti; un gruppo fu frustrato e l’altro no. (per frustrare i soggetti del primo gruppo fu valutato negativamente un elaborato evidentemente fatto bene).

Il gruppo di frustrati, successivamente, fu invitato a premiare o a colpire altri studenti che si sottoponevano ad altri test. La punizione consisteva, in caso di errore, nella somministrazione di una piccola ma fastidiosa scossa elettrica.

Ebbene, Il gruppo di frustrati puniva con più forza dell’altro gruppo. I tifosi inglesi erano frustrati?

Erano giovani che avevano grandi difficoltà a trovare un lavoro. (provenivano dalle aree povere dell’Inghilterra), molti avevano un passato violento alle spalle.

Sicuramente la frustrazione ebbe un ruolo importante. Ma andiamo oltre.

Sin dai primi attimi, dopo il loro arrivo a Bruxelles, i tifosi inglesi furono presi in custodia da agenti armati e scortati per tutto il giorno.

Può la presenza delle armi aver prodotto la violenza?

La violenza, ha più probabilità di esprimersi quando c’è un oggetto che ce la ricorda?

Pare proprio di si. Questo effetto si chiama “effetto arma”.

Anche la semplice presenza delle armi in dotazione della polizia, probabilmente, contribuì a scatenare la violenza, soprattutto se si pensa che i 2000 tifosi del Liverpool erano in uno stato di eccitazione per la partita (uno stato generico di eccitazione emotiva si chiama in psicologia arousal).

Altre risposte può dare la psicologia alla domanda “Perché i tifosi inglesi hanno aggredito gli italiani?”.

La psicologia può, ad esempio, porre l’attenzione sul fatto che i tifosi inglesi, in definitiva, sin da piccoli potrebbero aver imparato a comportarsi in quel modo (teoria dell’apprendimento sociale); magari osservando i genitori interagire in modo violento.

La teoria dell’apprendimento ci mostra che certi comportamenti vengono semplicemente appresi, proprio come si apprende in che modo si saluta, stringendo la mano a qualcuno.

Ancora.

Forse ha pesato la mentalità di gruppo, forse il desiderio di conformarsi agli altri compagni, che hanno dato inizio all’aggressione.

In generale, di queste ipotesi fatte, forse tre sono di primaria importanza:

1)   hanno attaccato perché erano frustrati

2)      avevano imparato ad aggredire sin da piccoli

3)      risentivano della mentalità di gruppo (il branco)

In ogni caso, tutte queste motivazioni riguardano la persona, sono del mondo proprio dell’individuo.

Si tratta di una caratteristica fondamentale della psicologia interessarsi sempre a ciò che le persone hanno dentro; a ciò che accade nelle loro menti; a ciò che hanno appreso dalle esperienze passate; al modo in cui sono cresciute e, al modo abituale che hanno di reagire e comportarsi.

Il punto di vista del sociologo

La sociologia può aiutare in modo decisivo a capire l’episodio dello stadio di Heysel, perché studia due fenomeni importanti: la devianza e i comportamenti collettivi.

E’ chiaro che gli hooligans rappresentano un tipico caso di devianza. Essi vanno allo stadio con l’intento premeditato di scatenare incidenti.

Si parla di devianza quando individui o gruppi mettono in atto comportamenti che vanno contro le regole della società.

Ma perché esiste la devianza?

Una risposta è perché molti vedono nella devianza un modo per riscattare una posizione all’interno della società che non soddisfa. E’ una sorta di rivincita sulla società.

Nella mentalità degli hooligans, ogni azione deviante, di teppismo, li fa crescere di prestigio.

Sembra incredibile, ma la violenza negli stadi è un modo per mettere in crisi quella società che ha tenuto questi gruppi ai margini, li ha esclusi dalla risorsa scarsa del prestigio.

Le partite di calcio, con le folle, la televisione e i giornali, rappresentano per molti teppisti, un grande palcoscenico in cui esibire i propri successi e le proprie rivincite.

Un altro fenomeno studiato dalla sociologia è quello dei comportamenti collettivi.

Molto spesso, quando molte persone agiscono per raggiungere uno scopo, il risultato appare, alla fine, un altro rispetto a quello perseguito (in questo caso si dice che ha agito un effetto aggregante o emergente).

Si pensi ad esempio alla massa d’individui che ha tentato di scappare dall’aggressione degli inglesi. Tutti i singoli cercavano la salvezza. Ma lo spostamento della massa di individui ha generato il risultato opposto.

Molti sono stati schiacciati dalla folla in fuga. Poi ad un certo punto per la pressione della gente, un muretto è crollato e decine di persone sono finite per precipitare ai piani inferiori.

Quindi, diversamente dalla psicologia, la sociologia non va a guardare all’interno degli individui, ma si interessa a ciò che c’è intorno a loro. Più precisamente studia le realtà Umane e la vita sociale in cui le persone si muovono.

Il mondo degli hooligans è un ambiente sociale in cui questi giovani vivono e in cui matura il comportamento deviante.

Gli effetti emergenti sono dure realtà Umane, con le quali ciascuno di noi può prima o poi trovarsi a fare i conti.

Citiamo adesso altri punti di vista.

Antropologia culturale, etologia, geografia antropica

L’antropologia studia le culture dei popoli della terra e le mette a confronto.

Rispetto al nostro problema, quello dell’aggressività e, in particolare il fatto accaduto nello stadio di Heysel, l’antropologo può chiedersi: L aggressività è presente in ogni cultura? E universale? In ogni cultura è presente con la stessa intensità?

L’aggressività pare essere universale, ma certamente, vi sono popolazioni che, culturalmente, sono portate ad essere meno aggressive di altre.

A volte, bisogna prendere in considerazione forme più eclatanti di aggressione, ma altrettanto dannose. Ad esempio quando omettiamo di fare qualcosa, sapendo che, questa omissione, provocherà danno a qualcuno (Es. omissione di soccorso). Si parla, in questo caso, di aggressività passiva.

L’Etologia

L’etologia studia i comportamenti animali e traccia, per ciascuna specie un etogramma, cioè un repertorio di comportamenti che una specie mostra di avere.

L’aggressività umana può essere confrontata con quella animale. In cosa differisce?

Nel mondo animale, si osservano, piuttosto spesso, dei meccanismi frenanti, che di solito impediscono che l’aggressione e la lotta sfocino in conseguenze come la morte. In alcuni casi si osservano rituali di pacificazione, o atti di sottomissione, che tendono a raffreddare il conflitto.

Forse il sistema frenante più importante è dato dai combattimenti ritualizzati. Si tratta di combattimenti che della lotta hanno solo l’aspetto esteriore. In sostanza però le azioni veramente pericolose vengono omesse.

Tutto questo certamente vale altresì per l’uomo. Anche per l’uomo è possibile disegnare un etogramma, anche nell’uomo ci sono meccanismi frenanti, rituali di pacificazione e altri atti che mirano a raffreddare la crisi.

Purtroppo, la vita di tutti i giorni e lo sviluppo tecnologico, spesso non permettono però una espressione chiara di tali gesti: come quando, ad esempio, ci troviamo ciascuno nella propria autovettura ed il fatto di non guardarci nell’interezza della nostra figura ci inibisce l’invio di messaggi al nostro potenziale interlocutore, che, magari, ha l’unica colpa di non averci dato una precedenza.

Per molti etologi, come Konrad Lorenz, (il cosiddetto male, 1963) certe forme di aggressività hanno una importanza evolutiva notevole. In tal senso esse vanno a favore della sopravvivenza e della difesa della prole.

Talvolta ad esempio, un bambino mostra una sorta di aggressività esplorativa con il proprio genitore. In questo modo, cerca di capire fino a che punto si può spingere senza danneggiare l’altro.

La Geografia antropica

Da ricordare è la geografia antropica, con la sua capacità di mostrare la distribuzione del fenomeno sul territorio (nel nostro esempio la violenza negli stadi).

E’ possibile vedere la distribuzione degli incidenti negli stadi su apposite cartine.

Le Scienze della formazione

Le scienze della formazione si occupano dei problemi e dei metodi legati alla formazione.

Per questo le scienze della formazione si interessano all’aggressività, al conflitto o a ciò che scatena la violenza, per studiare le tecniche di recupero e di intervento educativo sulle persone, al fine di far loro maturare condotte equilibrate e positive, rendendole capaci di vivere in armonia e di conservare l’equilibrio dentro se stesse ed in relazione con gli altri.

 

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