20 ottobre 2011 - Filosofiamo, MATERIALE UTILE    No Comments

Ricapitolazione della “Critica della Ragion Pura” di Immanuel Kant

LA “CRITICA DELLA RAGION PURA”

(ricapitolazione)

A cura del Prof. Alfio Profeti

Cosa rivelerà la “C.R.P.”?

Alla fine della Dialettica si giunge alla conclusione che le domande metafisiche non possono avere una risposta scientificamente fondata , perché nessuna conoscenza è possibile oltre il perimetro dell’esperienza. Le illusioni che emergono nella Dialettica sono causate da  un uso sbagliato della ragione, che invece dovrebbe essere regolata per estendere il più possibile il campo dell’esperienza.

Caratteri generali

L’opera è stata scritta nel 1781 dopo un lungo silenzio. Si basa su una domanda fondamentale, su che cosa cioè si fonda il rapporto della rappresentazione in noi e l’oggetto.

Il titolo dell’opera può essere analizzato in questo modo: si usa il termine critica riguardo allo studio dei limiti della ragione umana e al rifiuto di ogni dogmatismo, e ragione intendendola come insieme della facoltà conoscitiva pura (a priori) che deve indagare su se stessa per definire il suo perimetro.

La Dottrina trascendentale degli elementi, con cui si apre la “Critica della Ragion Pura” e che parla dello studio dei motivi per cui la nostra conoscenza è universale. Porta alla fondazione delle scienze matematiche e sperimentali e all’indagine sulla legittimità della metafisica come scienza.

La prima parte dell’opera è l’Estetica trascendentale (estetica come indagine sulla conoscenza sensibile); invece la seconda è la Logica trascendentale (lo studio della conoscenza intellettiva e del ragionare).

La Logicasi divide:

1)      in Analitica trascendentale, che tratta delle possibilità delle scienze della natura;

2)      in Dialettica trascendentale, che studia i fondamenti della metafisica e del suo diritto a proporsi come sapere scientifico.

L’Analitica trascendentale è divisa a sua volta in Analitica dei concetti (scomposizione della facoltà intellettiva) e Analitica dei princìpi (studia in che modo le categorie si applicano ai fenomeni e come si costituiscono i giudizi di esperienza).

Il problema della fondazione della conoscenza oggettiva (introduzione)

In quest’opera Kant compie una critica del giudizio, inteso come l’attribuzione di un predicato ad un soggetto. Il giudizio non opera direttamente sugli oggetti, ma sulle loro rappresentazioni, quindi è una facoltà dell’intelletto. I giudizi sono raccolti da Kant in una tavola ripresa dalla logica tradizionale.

Il giudizio si distingue in analitico a priori e sintetico a posteriori:

Nel giudizio analitico a priori: è già contenuto nel soggetto ciò che esprime il predicato (per esempio: il triangolo ha tre lati). Il giudizio analitico a priori è dunque universale e necessario (essendo a priori) e la sua formulazione deriva dalla tradizione metafisico-razionalista di Cartesio e Leibniz: Leibniz infatti afferma che il pensiero può produrre a priori le forme della realtà, e la conoscenza è dunque formata analiticamente.

Questo tipo di giudizio individua le funzioni dell’intelletto (di cui si parla nell’Analitica dei concetti), cioè unità che ordinano le varie rappresentazioni in una rappresentazione comune.

Il problema che deriva da questa conoscenza è che, purtroppo, può solo chiarire quello che è già conosciuto.

Nel giudizio sintetico a posteriori: il predicato contiene qualcosa che non è nel soggetto (per esempio: il tavolo è verde) ed è un tipo di giudizio collegato all’esperienza, né universale né necessario, in quanto è a posteriori.

La sua formulazione deriva dall’empirismo di Hume, che infatti critica il concetto di causa-effetto dicendo che l’effetto non può venire dedotto logicamente dalla sua causa, per cui la conoscenza dell’effetto proviene solo dall’esperienza: non può esistere un sapere a priori, né universale, né necessario. Solo l’abitudine crea in noi la credenza di leggi universali e quindi si giustifica il fatto che ce ne serviamo per descrivere le regolarità naturali. Il problema che deriva da questa conoscenza è che si tratta di un giudizio che è privo di necessità.

Esiste anche un giudizio sintetico a priori (che è quello della metafisica), che Kant crea perché né il giudizio analitico a priori né quello sintetico a posteriori riescono a soddisfare i requisiti della scienza: uno può infatti solo chiarire ciò che si è già conosciuto, l’altro è estensivo del sapere ma privo di necessità. Dunque bisogna fondere i due giudizi.

Un esempio di giudizio sintetico a priori può essere il seguente: la linea retta è la più breve fra due punti (più breve è aggiunto in modo sintetico).

Comunque, mentre nelle altre scienze (Matematica e Fisica) il problema può essere quello di chiedersi come siano possibili i giudizi sintetici a priori che ne costituiscono le proposizioni; nel caso della metafisica il problema è chiedersi in primo luogo se sia possibile essa stessa come scienza ed in secondo luogo se sia possibile attribuire l’uso del giudizio sintetico a priori alla metafisica.

Di fatto la metafisica esiste non come scienza, ma soltanto in quanto disposizione naturale, cioè come naturale tendenza alla ricerca di risposte.

Nel tentare di risolvere i suoi problemi la ragione cerca di sbarazzarsi dei vincoli dell’esperienza, eliminando così la propria legittimità. Per rendere la metafisica universale, quindi valida per tutti, c’è dunque bisogno che la ragione istituisca un tribunale che esamini la sua legittimità, che non è altro che la critica della ragion pura stessa.

Il criticismo e il concetto di trascendentale

(introduzione)

E’ trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti, che deve essere a priori.

Il concetto di trascendentale si oppone a empirico, perché si riferisce a ciò che non ha origine con l’esperienza e si oppone a trascendente, perché è in rapporto con l’esperienza. Trascendentale non è un contenuto, ma una forma del conoscere.

Da questo concetto parte una domanda fondamentale: in che modo noi conosciamo le cose?

Lo spazio e il tempo (Estetica trascendentale)

Nell’Estetica, abbiamo detto, si esamina la sfera della conoscenza sensibile. La sensibilità è la capacità del soggetto di essere modificato dall’oggetto e la rappresentazione immediata dell’oggetto sentito è detta intuizione

L’ intuizione è empirica e l’oggetto da essa delineato è il fenomeno, che rappresenta le cose in quanto conosciute da noi (primo elemento della risposta alla domanda: in che modo noi conosciamo le cose?).

Il fenomeno è formato da due componenti:  la materia e la forma.

La materia è il contenuto della sensazione, mentre la forma è il collegamento dei diversi dati sensibili secondo certi rapporti. Questo collegamento è dato a priori  nell’atto stesso dell’intuizione e infatti non proviene dalla sensazione (che è a posteriori in quanto effetto proveniente da un oggetto).

Dalla forma allora si ricaverà l’intuizione pura, una forma a priori della sensibilità. Le forme pure dell’intuizione sono due: lo spazio e il tempo.

Lo spazio dà l’esperienza del mondo fenomenico. Non è ricavato dall’esperienza, è la forma di tutti i fenomeni dei sensi esternied è soggettivo. La scienza che si fonda sull’intuizione spaziale è la geometria.

Anche il tempo dà l’esperienza del mondo fenomenico (e riguarda altresì emozioni e sentimenti), ma è una forma del senso interno, cioè dell’intuizione di noi stessi e del nostro stato interno, per cui è a fondamento di tutte le intuizioni. Grazie al tempo è possibile rappresentare certi fenomeni in successione: per esempio l’aritmetica costituisce i suoi concetti di numero per una successiva addizione di unità di tempo.

Per Hume lo spazio e il tempo non sono altro che relazioni fra idee, di cui il pensiero si serve per creare le connessioni fra le cose; mentre per Leibniz lo spazio e il tempo esistono solo come relazione fra corpi e fenomeni.

Nell’Estetica trascendentale Kant ha analizzato gli oggetti conosciuti intuitivamente.

Le categorie e la loro deduzione (Logica trascendentale)

L’Estetica ha esaminato la conoscenza sensibile ed orala Logicaestende tale esame alla conoscenza intellettuale, ponendo al posto delle intuizioni i concetti dell’intelletto.

Intelletto e sensibilità creano un rapporto che darà origine alla conoscenza.

Il mondo analizzato da Kant nell’Estetica è un mondo di esperienza che ci si presenta come una molteplicità non ordinata di dati; quindi non come una natura, un insieme di fenomeni organizzato secondo leggi. Nella natura troviamo fenomeni che interagiscono tra loro dinamicamente e compito della scienza è trovare le leggi che regolano tali fenomeni.

Queste leggi devono connettere i dati dell’intuizione sensibile oggettivamente. Per fare in modo che ciò accada, Kant vuole trasformare i giudizi percettivi (tipo: questo sasso al sole si riscalda) in giudizi d’esperienza (tipo: il sole riscalda gli oggetti), vuole cioè vedere in che modo il mondo naturale, vale a dire il mondo dell’ intuizione sensibile, possa essere per noi un oggetto possibile di conoscenza.

Analitica dei concetti

Per arrivare a conoscere il mondo naturale, Kant opera una scomposizione della facoltà intellettiva in funzioni dell’intelletto. Il filo conduttore per individuare tali funzioni è l’analisi del giudizio, che opera mediante rappresentazioni di oggetti (intuizioni).

Quindi il filosofo ritiene possibile risalire dall’analisi del giudizio ai concetti puri dell’intelletto, volti in generale agli oggetti dell’intuizione sensibile, e li chiama categorie.

Il concetto di categoria è un termine che si rifà ad Aristotele, ma mentre per lui le categorie sono modi di organizzazione del pensiero fondati su caratteristiche specifiche della realtà, per Kant sono funzioni a priori dell’intelletto, che devono sintetizzare i dati dell’intuizione.

Ma cosa ci garantisce che le categorie si riferiscano in modo universale (oggettivo) agli oggetti dell’esperienza? Il problema non è a livello intuitivo, che è a priori, ma intellettuale, perché sappiamo che l’intelletto si riferisce non agli oggetti direttamente ma alle loro rappresentazioni. Quindi, come si può affermare che le relazioni poste dall’intelletto fra le rappresentazioni attraverso le categorie siano oggettive? O meglio: come può essere garantita l’oggettività dell’esperienza?

La risposta richiede una deduzione trascendentale, in cui il termine deduzione sta ad indicare la dimostrazione di un diritto. L’unificazione dell’esperienza, riflette Kant, sarà possibile solo a condizione che sia pensata come rappresentazione prodotta dal soggetto: noi non possiamo rappresentarci nulla di unificato senza prima aver svolto questo processo in noi.

Da questo si ricava che l’intero mondo dell’esperienza è basato su un principio unificatore, chiamato Io penso o appercezione temporale, o autocoscienza universale. Grazie all’Io penso il mondo dei fenomeni è conoscibile, perché ci dà una conoscenza oggettiva. E’ solo grazie a questa autocoscienza che il soggetto riconosce le rappresentazioni come proprie, perché sa qual è l’origine a cui possono essere riferite: l’Io penso rende possibile anche la pensabilità del soggetto come attività di unificazione e sintesi.

Poiché allora il mondo dei fenomeni e la sua conoscenza obiettiva si fondano sull’unità originaria dell’auto-coscienza, potremo dire di aver compiuto il passaggio dalla natura come insieme di fenomeni alla natura come insieme di leggi: infatti le leggi esistono non nei fenomeni, ma relativamente al soggetto, dotato di intelletto. Quindi non è la natura a dare le sue leggi all’intelletto, ma è l’intelletto che prescrive le leggi alla natura.

Lo schematismo dell’intelletto e il sistema dei principi

(Analitica dei principi)

Nell’Analitica dei concetti Kant ha spiegato come sia possibile la costituzione di un mondo oggettivo dell’esperienza. Per raggiungere lo scopo dell’Analitica trascendentale (mostrare la possibilità di una conoscenza scientifica della natura), bisogna ancora analizzare il modo di applicazione delle categorie e la costituzione dei giudizi d’esperienza che portano alla conoscenza degli eventi naturali. Tutto ciò verrà esaminato nell’Analitica dei principi, che sono le regole dell’uso oggettivo delle categorie.

Considerato il fatto che Kant afferma l’eterogeneità fra sensibilità e intelletto, ma che la conoscenza è sintesi fra intuizione e concetto, come sarà possibile questa relazione?

Kant risolve la difficoltà con la dottrina dello schematismo trascendentale: l’intelletto, per unificare il molteplice sensibile, opera attraverso schemi, rappresentazioni intermediarie tra intuizione e intelletto.

Lo schema è l’insieme delle regole necessarie alla costruzione dell’immagine di un oggetto (non è perciò l’immagine stessa di esso) ed è un prodotto dell’immaginazione, cioè la facoltà di rappresentare un oggetto nell’intuizione, anche senza la sua presenza.

L’immaginazione può essere riproduttiva o produttiva.

E’ riproduttiva quando richiama alla memoria un’immagine di un oggetto che non mi è vicino in quel momento.

E’ produttiva quando richiama un concetto puro (categoria), cioè quando questa fa un suo schema e lo fa applicare.

Quindi attraverso l’immaginazione vengono prodotti gli schemi di concetti empirici, di concetti sensibili puri (figure geometriche) e schemi trascendentali, ovvero gli schemi di cui abbiamo appena parlato.

L’immaginazione è intermedia fra sensibilità e intelletto perché condivide con la sensibilità il fatto che le sue rappresentazioni sono intuizioni, mentre con l’intelletto il fatto che tali intuizioni sono prodotte spontaneamente.

Eppure sono gli schemi che fungono da ponte tra le due.

In che modo? Dal fatto, dice Kant, che esso è una determinazione trascendentale del tempo secondo regole. Infatti sappiamo che il tempo, essendo forma del senso interno, è condizione di possibilità a priori di tutti i fenomeni (anche di quelli del senso esterno), ed è quindi l’elemento comune a tutti glioggetti di esperienza. Quindi lo schema, come determinazione trascendentale del tempo, è connessa sia ai fenomeni, sia, in quanto è generale e poggia su una regola a priori, alle categorie.

Così Kant deriva l’elenco degli schemidalla tavola delle categorie: lo schema delle categorie di quantità è il numero; quello delle categorie di qualità è il grado di intensità; lo schema delle categorie di relazione è la permanenza del reale nel tempo; lo schema della causalità è la successione del molteplice in quanto soggetto ad una regola.

Attraverso lo schematismo si chiarisce che la costruzione da parte del soggetto del mondo dell’esperienza implica l’integrazione fra la sensibilità e l’intelletto, con l’apporto assolutamente necessario del tempo.

Ma che c’entra questo con i principi che, ricordiamolo, sono le regole dell’uso oggettivo delle categorie?

Dai principi Kant desume il sistema a partire dalle categorie. Il principio degli assiomi dell’intuizione, relativo alle categorie di quantità, dice che tutte le intuizioni sono qualità estensive, cioè noi conosciamo gli oggetti intuitivamente. Questo principio permette di applicare la matematica alle scienze della natura. Il principio delle anticipazioni della percezione, relativo alle categorie della qualità, che stabilisce la regola per cui è possibile misurare i cambiamenti qualitativi di un fenomeno (es.: temperatura). In questo caso Kant parla di anticipazioni perché così è possibile prevedere le caratteristiche di future percezioni. Il principio delle analogie dell’esperienza, relativo alle categorie di relazione, attraverso il quale si fissano i principi che rendono possibili i rapporti fra i diversi fenomeni, in pratica le leggi.

Queste analogie non ci dicono qual è la causa di un certo fenomeno, ma ci dicono che, dato un evento, ne esiste un altro che è la sua causa e si trova con esso in una determinata relazione temporale. Le analogie sono di permanenza, di successione e di simultaneità.

  • Prima analogia (principio di permanenza della sostanza): dice che in ogni cambiamento di fenomeni la sostanza permane e la sua quantità nella natura non aumenta né diminuisce.
  • Seconda analogia (principio della legge temporale secondo la legge delle causalità), che dice che tutti i mutamenti accadono secondo la legge di causa ed effetto.
  • Terza analogia (principio di simultaneità), che dice che tutte le sostanze, in quanto simultanee nello spazio, si trovano ad esercitare fra loro un’azione reciproca universale (per cui ciascun fenomeno condiziona altri e ne è al tempo stesso condizionato.

Attraverso le tre analogie, quindi, Kant giustifica la possibilità di una natura come oggetto di esperienza, come connessione di fenomeni secondo leggi, infatti il concetto di base delle tre analogie è che tutti i fenomeni hanno luogo in una sola natura e vi debbono aver luogo, altrimenti non sarebbe possibile alcuna unità di esperienza e quindi neppure una determinazione degli oggetti al suo interno. Ultimo gruppo dei principi, che si riferisce alle categorie di modalità e che indica i rapporti esistenti fra la conoscenza e il mondo dell’esperienza, riguarda i postulati del pensiero empirico.

Fenomeno e noumeno

Al termine dell’Analitica, Kant fa il punto sui concetti cardinali della sua filosofia: la distinzione fra fenomeno e noumeno.

I noumeni  sono le cose come sono in se stesse, quindi possono essere pensate dall’intelletto ma mai conosciute attraverso l’intuizione sensibile Il concetto di noumeno può essere inteso sia in senso negativo che positivo. Nel primo senso il noumeno qualifica gli oggetti, di cui non abbiamo intuizione sensibile; nel secondo senso il noumeno è l’oggetto di una intuizione non sensibile. Si può accettare solo l’accezione negativa: non possiamo comprendere la possibilità della conoscenza di una cosa in sé.

Detto questo, Kant sottolinea il fatto che il noumeno è un concetto indispensabile, perché ci permette di circoscrivere le pretese della sensibilità: è perciò un concetto limite, che non ci fornisce conoscenza positiva e serve solo per delimitare i limiti della conoscenza stessa, che resta così ancorata al mondo dell’oggettività fenomenica. Per questo il mondo delle cose in sé ci è del tutto ignoto, e resta ora da considerare perché in realtà si cerchi di far conoscere anche questo mondo.

Questo è il compito della Dialettica trascendentale.

La Dialettica della ragione

(Dialettica trascendentale)

Con la Dialettica trascendentale ha inizio l’esame della metafisica come scienza. La dialettica è definita logica della parvenza, cioè di ciò che appare. E’ la nostra tendenza a fare ragionamenti fallaci, perché si basa su premesse non verificate. Questa definizione è simile a quella già formulata da Aristotele ed ha un’accezione negativa. Per Platone, invece, la dialettica è intesa in senso positivo, perché era la scienza che portava alla verità.

Protagonista di questa parte della Critica della Ragion pura è la ragione in senso stretto, come facoltà del pensiero che si rivolge alla conoscenza di ciò che è fuori dell’esperienza, per cui non ne può mai seguire un giudizio scientifico, cioè sintetico a priori. La ragione opera con idee, che hanno un’importante funzione regolativa, in quanto offrono all’intelletto una direzione nel suo compito di estendere e di organizzare le nostre conoscenze. Nasce così la metafisica, con la quale la ragione mostra la sua pretesa di giungere a considerare come oggetti conoscibili ciò che non potrà mai essere per noi un dato di esperienza, ovvero l’intera serie delle condizioni dei fenomeni della natura, cioè la totalità del mondo. Queste idee sono nate per la tendenza che abbiamo di unificare i vari dati di cui siamo a disposizione, sia del senso interno che di quello esterno.

Infatti la ragione è alla ricerca della totalità: posta una connessione di causalità a dei fenomeni, la ragione tenta di trovare la causalità ultima, quella che è condizione ma non è, a sua volta, condizionata. Per questo Kant chiama la ragione facoltà dell’incondizionato (ciò accade perché i concetti non si limitano ai fenomeni). Tali tentativi della ragione di ricercare la totalità sono considerati da Kant illusioni, perché non considerano il fatto che noi scambiamo per proprietà delle cose quelle che sono solo esigenze del pensiero.

L’attività della ragione opera attraverso sillogismi, conclusioni logiche che procedono da due premesse. Attraverso una concatenazione di questi sillogismi la ragione pretende di arrivare alla totalità. Tre sono le idee messe a capo di questo tentativo: l’idea di anima, di mondo e di Dio.

  • L’idea di anima è il soggetto assoluto, incondizionato. Il campo della sua indagine nella metafisica è la psicologia razionale, che afferma che l’anima è una sostanza, è semplice (non scomponibile e incorruttibile), che rimane identica a se stessa nel tempo, che è distinta da ogni altro oggetto. Secondo Kant la dottrina razionale dell’anima è fallace, perché si fonda su paralogismi e perché trasforma arbitrariamente l’Io penso in una sostanza sussistente per sè, in un’anima (è un processo arbitrario perché viene applicata la categoria di sostanza all’Io penso, che non è un oggetto!!!. Infatti è una condizione della conoscenza);
  • L’idea di mondo è la totalità dei fenomeni esterni (mentre la natura è la connessione secondo leggi dei fenomeni oggetto di esperienza). Il campo della sua indagine nella metafisica è la cosmologia razionale. L’illusorietà del tentativo della ragione di conoscere il mondo come totalità è dimostrata perché porta ad antinomie.

Le antinomie sono coppie di proposizioni in contraddizione fra loro e tuttavia ugualmente dimostrabili. Kant ne individua quattro, distinte in tesi ed antitesi:

1.A.  TESI: il mondo ha un suo inizio nel tempo ed è delimitato entro certi confini di spazio

1.B.   ANTITESI: il mondo non ha inizio né confini, ma è infinito in ogni senso;

2.A.  TESI. Il mondo è fatto di sostanze semplici o fatte di parti semplici

2.B.   ANTITESI: nessuna cosa composta nel mondo è fatta di parti semplici, né esiste nulla di semplice;

3.A.   TESI: non tutti i fenomeni del mondo derivano dalle causalità delle leggi della natura, ma per la loro spiegazione bisogna ricorrere ad una causalità per libertà

3.B.    ANTITESI: non esistono libertà e tutto accade per le leggi di natura;

4.A.    TESI: del mondo fa parte un essere assolutamente è necessario, o come suo elemento o come sua causa

4.B.    ANTITESI: in nessun luogo esiste un essere che sia assolutamente necessario alla sua causa.

La radice dell’antinomia sta nell’illegittimità dell’idea di mondo come totalità, cioè nell’applicazione delle categorie fuori dell’esperienza. Comunque le antinomie cercano di risolvere i quattro grandi interrogativi che derivano da esse (facilmente deducibili leggendole).

Risolvere criticamente le antinomie vorrà dire mostrare che le contraddizioni fra tesi e antitesi sono solo apparenti:

*  le prime due antinomie sono dette matematiche (perché considerano il mondo dal punto di vista quantitativo) e sono entrambe false, perché derivano dal principio contraddittorio che esista il mondo come totalità in sé. Dunque possiamo dire che il mondo non è né finito, né infinito, ma è attualmente finito e potenzialmente infinito;

* la terza e quarta antinomia (dette dinamiche perché riguardano la regressione dell’incondizionato) possono essere entrambe vere e non in contraddizione e perche riguardano campi differenti: le antitesi il mondo dell’esperienza, le tesi quello intellegibile, che si può sempre pensare senza mai conoscerlo.

  • L’idea di Dio è la condizione assoluta di ogni realtà, la totalità dell’esistente. Il campo della sua indagine nella metafisica è la teologia razionale. La ragione esprime l’ideale di un Ente supremo, che rappresenta la totalità di tutte le realtà possibili, della quale ogni singola realtà è la determinazione. L’illusione della ragione sta nel voler trasformare questo concetto ideale in una realtà, mentre la totalità non potrà mai essere oggetto di esperienza. Da questo Kant può dimostrare l’impossibilità delle tre prove dell’esistenza di Dio:

1) prova ontologica, che arriva all’esistenza di Dio in quanto Essere perfetto (non può mancargli l’attributo dell’esistenza). L’errore sta nell’aver fatto un passaggio  arbitrario dal piano del pensiero a quello dell’essere. L’esistenza può venire solo dall’esperienza;

2) prova cosmologica, che dimostra l’esistenza di Dio in quanto essere necessario, che non ha causa. Ci sono due grossi errori: l’utilizzo indebito della categoria di causalità oltre l’ambito dei fenomeni e il fatto che questa prova dipende dalla prova ontologica;

3) prova fisico-teologica, che argomenta l’esi-stenza di Dio a partire dalla bellezza e armonia della natura. Anche questa prova si regge sulle precedenti, perché ci sarebbe bisogno di un Essere necessario per tutto questo, e la sua esistenza è già stata confutata precedentemente.

Così la Dialettica trascendentale ha formulato un verdetto negativo intorno alle pretese conoscitive della metafisica: le domande sull’immortalità dell’anima o sull’esistenza di Dio non possono avere una risposta scientificamente provata.

L’unica metafisica possibile come scienza è quella che critica i limiti della conoscenza.

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