

L’attualità del pensiero politico di Kant
L’attualità del pensiero politico di Kant
(Contributo di Erica Biancalani – Classe 5/A )
Per concludere il percorso multidisciplinare della mia tesina vorrei riflettere sul pensiero di un grande filosofo del ‘700 che, pur non avendo assistito all’attuale dramma degli odierni fenomeni dei flussi migratori, che stanno caratterizzando e che caratterizzeranno la nostra storia presente e futura, sembra aver precorso, anticipando di quasi duecento anni, l’idea-guida regolativa il cammino del genere umano, fondata su una pacifica convivenza tra i diversi popoli. Per Kant il soggetto della storia universale è rappresentato non dai singoli individui, bensì dal genere umano, il cui cammino è concepito come un progresso incessante, all’interno del quale possono pienamente svilupparsi tutte le potenzialità dell’umanità. Solamente nella totalità può infatti manifestarsi, a suo giudizio, il valore dell’esistenza dell’uomo. Il punto di osservazione di questo processo incessante è dunque occupato dal “cittadino del mondo”».
La riflessione filosofica di Kant sul problema etico, in quanto mira a restituire alla moralità una piena autonomia e all’uomo la caratteristica di soggetto libero e responsabile, secondo me è molto importante in questo contesto, perchè ha come obiettivo l’indicazione dei principi e dei concetti specifici dell’etica: infatti per Kant il fondamento di una morale autonoma è costituito dalla «ragion pratica». Per questo, partendo dal punto di vista morale, Kant nell’opera “Critica della Ragion Pratica”, del 1788, si chiede se sia possibile un uso pratico della Ragione. La ragione, oltre a un uso teoretico, per Kant ha anche un uso pratico: essa fornisce all’uomo non solo conoscenze, ma anche indicazioni generali di comportamento, in quanto è la ragione che determina la volontà ad agire moralmente. Una simile impostazione, che tende a fornire con completezza le condizioni a priori dell’agire umano, ha il chiaro obiettivo di dimostrare l’assoluta autonomia della ragione umana in campo pratico. Per questo Kant parte dal presupposto che vi sia una morale universale, cioè valida per tutti, e quindi incondizionata da enti esterni, ma spinta da motivazioni interne e, di conseguenza, autonoma. La volontà è libera in quanto obbedisce ai propri imperativi etici. Importanti sono gli “imperativi categorici”, perché forniscono criteri generali di comportamento, non determinano azioni specifiche, non impongono una precisa condotta; sono principi a priori della ragione nella sua destinazione pratica. Questi si presentano sotto forma di leggi che possono essere soggettive , le massime, oppure universali. Sono dunque gli imperativi categorici a decidere della moralità in quanto forniscono criteri universali per valutare la moralità delle massime con le quali ogni persona tende a regolare le proprie condotte individuali (ad esempio la massima della solidarietà, dell’amicizia, dell’indifferenza, della competizione, ecc.). Questi imperativi sono definiti categorici in quanto esprimono un’azione oggettivamente necessaria per se stessa, senza altro fine; sono direzioni o comandi della ragione che si impongono di per sé alla volontà, suggerendole criteri di comportamento e non precetti concreti o azioni definite. Poiché impongono alla volontà di assumere come massima di comportamento solo quei criteri che possono valere come norme universali, estensibili a tutti gli uomini, sono formali: prescindono dalle concrete situazioni contingenti, si limitano a suggerire i principi etici generali cui l’uomo dovrà uniformare la sua condotta se vorrà agire moralmente. Però Kant distingue gli imperativi in:
imperativi ipotetici, ossia imperativi subordinati ad una condizione e perciò rispondono alla formula “se..allora..” (si tratta di imperativi che orientano la prudenza e non la moralità);
imperativi categorici, ossia quei principi che obbligano un comportamento senza che però vi sia un fine,e dunque, rispondono alla formula “devo perchè devo”.
Questi ultimi imperativi si esplicitano in tre significati:
- agisci in modo tale che ogni tua massima diventi legge universale;
- considera sempre te stesso e l’altro non come mezzo ma sempre e solo come fine;
- agisci in modo tale che la tua volontà possa essere considerata come legislatrice autonoma e universale.
Credo che la seconda esplicitazione sia importantissima e fondamentale per la vita di ognuno di noi poiché in queste poche parole di Kant è concentrata l’importanza del rispetto di se stessi e dell’altro, entrambi costitutivi l’intera umanità. Infatti in questa seconda formula dell’imperativo categorico, troviamo ribadito come al centro dell’etica si collochi l’umanità (non il singolo uomo), quest’ultima proclamata come fine a sé.
È bene però specificare che questi contenuti sono formali e non tengono in considerazione le origini culturali della persona che li enuncia, rivelando, quindi, la determinante della condizione storica e culturale dell’occidente di fine Settecento.
C’è da dire che per Kant è fondamentale che queste leggi siano attuate secondo la libertà di agire, cioè la possibilità di decidere ciò che è male e ciò che è bene in base alla ragione.
Oggi l’imperativo categorico potrebbe essere declinato nella Dichiarazione dei diritti umani, in cui si enunciano i principi assoluti come fonte di garanzia del rispetto della dignità di ogni uomo.
Lo scritto di filosofia politica “Per la pace perpetua” (1795)è presentato sotto forma di ipotetico trattato di pace ed è definito come un progetto giuridico e non etico. Infatti Kant non spera che gli uomini possano diventare più buoni, ma ritiene possibile costruire un “ordinamento giuridico”, tale da abolire la guerra, come avviene all’interno degli Stati federali.
Tralasciando le questioni inerenti i problemi della guerra ed altri più specifici vorrei concentrarmi sull’analisi della seconda sezione dell’opera, “ che contiene gli articoli definitivi per la pace perpetua tra Stati”.
Kant afferma nella sua opera ,diversamente da quanto aveva formulato Rousseau nel suo “Contratto sociale”, che lo stato di pace non è assolutamente uno stato di natura, ma che deve essere “istituito” ad esempio attraverso leggi da seguire, come una Costituzione. Infatti, perché si compia l’età della ragione e dell’autonomia (autolegislazione), Kant ritiene necessario che si realizzi un nuovo assetto politico internazionale: l’antagonismo («insocievole socievolezza», gli uomini si uniscono in società per opporsi reciprocamente) che è stato nella storia degli uomini, indirettamente, anche uno stimolo a progredire, a superarsi, deve essere controllato, regolato da costituzioni che perseguono, mediante il diritto, l’ordine, la pace e la giustizia. Kant prospetta, in proposito, una federazione di stati con governi repubblicani i cui reggitori esercitino il potere in conformità con la legge espressa dalla volontà generale; un parlamento sovranazionale si assumerà il compito di dirimere i conflitti, mediare gli antagonismi, orientando il suo impegno e le sue disposizioni verso la pace.
A tal proposito in riferimento al “Primo articolo definitivo per la pace perpetua”, Kant afferma che, in ogni Stato, la costituzione civile deve essere repubblicana. Al riguardo egli prevede:
- innanzi tutto che la costituzione debba essere istituita secondo i princìpi della libertà dei membri della società (in quanto esseri umani);
- in secondo luogo che questa sia conforme alle regole fondamentali della dipendenza di tutti da un’unica legislazione comune (in quanto sudditi);
- in terzo luogo che sia rispettata la legge dell’uguaglianza degli stessi (proprio in quanto cittadini).
I vincoli posti da Kant, a differenza delle tradizioni a lui precedenti (come quelle formatesi a partire da Grozio e da Hobbes), «si aprono ad una federazione di Stati liberi, legati da un accordo che vieta la guerra e fonda le condizioni della pace.
«Le condizioni per la creazione di uno Stato giuridico, che consenta di assicurare reciprocamente ai cittadini i loro diritti di libertà, rappresentano, al tempo stesso, il primo articolo necessario, secondo Kant, per raggiungere lo stato della «pace perpetua».
Kant precisa che la costituzione civile dei vari stati dovrebbe essere repubblicana, caratterizzata cioè da una divisione dei poteri legislativo ed esecutivo e non per questo quindi anti-monarchica, ma costituita da cittadini che accettano le leggi imposte e che si facciano carico di eventuali spese in caso di guerra, argomentazione che secondo Kant dovrebbe prevenirli dall’eventuale risoluzione a favore della stessa. Kant inoltre evidenzia un importante rilievo empirico: se tutti sono sovrani, essi non decidono facilmente di fare una guerra; mentre in una monarchia a decidere della guerra è il sovrano che non è un comune cittadino ma il proprietario dello Stato.
Giunta a questo punto, vorrei focalizzare tutto il contenuto del testo restante, sull’importante intuizione che Kant ha avuto e che, secondo me, si collega in maniera, pressoché chiara, con le leggi morali enunciate nella “Critica della Ragion Pratica”: mi riferisco alla visione cosmopolita dell’idea regolativa di umanità (in richiamo del secondo imperativo categorico: l’uomo come fine e non come mezzo).
Nel “terzo articolo definitivo per la pace perpetua”, Kant tratta del diritto cosmopolitico, che consiste nel “diritto di uno straniero a non essere trattato in modo ostile, come nemico e nemmeno essere cacciato dallo Stato che lo ospita: nessuno ha diritto più di altri ad occupare un territorio. Questo diritto comprende la concezione di suolo terrestre e di risorse come “proprietà indivisa” appartenente a tutti gli uomini. A favore di tale principio, Kant fa valere l’idea che, essendo il mondo chiuso e limitato, è esso stesso costituito per avvicinare i popoli e tutti coloro che si dimostrano inospitali vanno contro il diritto cosmopolita. Lo straniero “non può rivendicare un diritto ad essere ospite” (per il quale sarebbe richiesto uno speciale contratto benefico, allo scopo di farlo diventare per un certo tempo coabitante), bensì un diritto di visita, che spetta a tutti gli esseri umani, cioè di proporsi alla società in virtù del diritto al possesso comunitario della superficie della terra, sulla quale, in quanto sferica, le persone non possono disperdersi nell’infinito, ma alla fine devono pur tollerarsi a vicenda.
Questo concetto finale è estremamente attuale poiché oggi moltissime testate dei quotidiani sollevano il grave problema di una mancata condivisione della pressante questione dell’immigrazione che sta prendendo piede nel nostro Paese.
Come gia anticipato in precedenza, in Europa molti, anzi moltissimi,si mostrano “sordi” ad ogni tentativo di aiuto alla nostra Nazione vincolata moralmente a farsi carico di tale emergenza. Credo che se Kant fosse oggi qui tra noi, impegnato a far sentire il suo forte appello alla ragione ed alla ragionevolezza, rivolgerebbe le sue riflessioni sul fatto che l’Italia non dovrebbe essere una Nazione isolata nell’impegno umanitario, ma che, facendo parte della Comunità europea, spetta all’Unione degli Stati d’Europa non solo prendere decisioni a livello economico, ma soprattutto farsi carico di non respingere una “massa di disperati”, predisponendo e sostenendo condizioni di umana e civile convivenza non solo per i Paesi di accoglienza, ma in particolare nel rispetto delle popolazioni a cui dover dare ospitalità.
SCARICA L’ARTICOLO COMPLETO IN VERSIONE PDF