27 Gennaio 2014 – Giornata della Memoria

Per non dimenticare la disumanità, la spietatezza e la malvagità che si annidano nel genere umano. Dobbiamo ricordare per non cancellare dalla mente il dolore di chi ha sofferto ingiustamente.

Prof. Alfio Profeti

Non di rado capita che la nostra mente accantoni e quindi collochi in disparte fatti e situazioni avvertite come poco piacevoli, mettendole, per così dire, a giacere in un cantuccio e ricordandoci bene di non disturbarle. Ciò avviene spesso non soltanto con ciò che è capitato a noi personalmente, ma anche con fatti più generali che cambiano o trasformano il corso delle cose, con tutto ciò che ci circonda e che dovrebbe ridare un senso e un valore ai fatti sociali, etici e morali. “Ricordare per non dimenticare”, si è detto spesso negli ultimi anni… “Ricordare per tenere a mente”, diciamo anche oggi, perché è questo il senso della nostra riflessione.  E’ pur vero che fissare in modo indelebile immagini, parole lette o scritte, suoni, ecc. è già sufficiente per destare o risvegliare la nostra mente.

Perché allora celebrare il 27 gennaio come Giornata della memoria? Noi sappiamo che questa è’ la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz!

La Repubblica Italiana(con legge 211 del 20 luglio 2000, art. 1 e 2 ) ha inteso riconoscere questo giorno “al fine di ricordarela Shoah(lo sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. In realtà l’obiettivo è quello di non dimenticarci mai quanto è accaduto, di avere presente quello spazio incommensurabile di disumanità, retto da spietate regole  di gerarchizzazioni e da rapporti di potere, quindi di non chiudere gli occhi davanti a quell’annientamento dell’uomo nel suo fisico ed ancor di più nella sua identità psicologica ed esistenziale.

Il romanzo di Primo Levi, “Se questo è un uomo”, si colloca come opera narrativa autobiografica, che narra le vicende vissute direttamente dall’autore in campo di sterminio. E’ una lucida rappresentazione dell’insensata realtà, che egli è stato costretto a vivere.

“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremmo conservarlo, dovremmo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”

La Shoahtestimonia come l’individuo umano, con il suo carico di affetti e di consuetudini quotidiane, svanisca in un attimo dietro la glacialità e la barbarie. È come se tutto fosse irreale, l’uomo è spogliato della capacità di conservare qualcosa di sé, un frammento di ciò che era, precipitando nella degradazione e nell’abbrutimento senza limiti.

Ciò che più deve preoccuparci ed essere scolpito nella nostra interiorità è la constatazione che nel cuore della nostra Europa, onorata come civilissima, solo pochi decenni fa e non molti secoli a noi lontani o bui, sia stata possibile la consumazione di uno dei più atroci crimini della storia dell’umanità.  È  vero che, nell’evolversi della storia umana,  i massacri non sono mai mancati, mala Shoah, per il numero delle vittime e per il carattere scientifico della sua pianificazione, è, senza dubbio, il più crudele dei  genocidi. Non dimentichiamoci che, accanto al popolo ebraico, anche altri gruppi perseguitati dal nazismo, come i disabili, gli oppositori politici, gli omosessuali, i Testimoni di Geova, gli zingari, sono stati travolti nell’orribile esperimento di realizzazione della “pura razza ariana”.

L’esperienza della Shoah ci testimonia in che modo sia stato soppresso il rispetto per la dignità dell’uomo, per i suoi sentimenti e per il suo corpo. Per questo il compito della Memoria è quello di rifiutare tale orrore, di  scuotere gli animi, le idee, i pensieri delle nuove generazioni, stimolando in tutti noi l’esercizio del pensiero critico, il rispetto della propria dignità e di quella altrui, la stima per se stessi e per gli altri, per i nostri sentimenti e per quelli di tutti gli altri.La Memoriadeve essere coltivata, affinchè sia giusto e forte il ricordo, la considerazione di ciò che è passato e non dev’essere dissolto per ciò che ancor oggi continua intensamente a valere, sebbene in misura, dimensioni e circostanze diverse, tutte però pur sempre collegate al dovere di ognuno di noi al fondamentale rispetto di ogni essere umano e della sua inalienabile dignità. Il polacco Zygmunt Bauman, attento ed aggiornato interprete della nostra società contemporanea, nella sua nota opera “Modernità ed olocausto” (Il Mulino 2010) così ha significativamente scritto:

“Credevo (per manchevolezza, più che per convinzione) che l’Olocausto rappresentasse un’interruzione nel normale corso della storia, una formazione cancerosa cresciuta sul corpo della società civile, una momentanea follia in un contesto di saggezza. […] L’Olocausto fu davvero una “tragedia ebraica”. Sebbene gli ebrei non siano stati l’unica popolazione sottoposta a un «trattamento speciale» ; da parte del regime nazista (erano di razza ebraica 6 degli oltre 20 milioni di persone sterminate per ordine di Hitler), soltanto essi furono destinati alla distruzione totale, essendo loro negata una qualsiasi collocazione nel Nuovo Ordine che Hitler intendeva instaurare. Ciò detto, l’Olocausto non fu semplicemente un “problema ebraico” e non soltanto un evento della “storia ebraica”. “L’Olocausto fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società razionale moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano: ecco perché è un problema di tale società, di tale civiltà e di tale cultura”. Per questo motivo l’autoassoluzione della memoria storica che ha luogo nella coscienza della società moderna è più di un’oltraggiosa noncuranza per le vittime del genocidio. E anche il segno di una cecità pericolosa e potenzialmente suicida.

Questo processo di autoassoluzione non comporta necessariamente la completa cancellazione dell’Olocausto dalla memoria. Vi sono molti segnali che suggeriscono il contrario. […]”

E’ da questo disincantato riscontro rilevato da Bauman l’autentico motivo per il quale credo non si debba smettere di ricordare l’esperienza dolorosa dell’olocausto, al fine di non chiudere gli occhi sul nostro complesso presente e per prevenire le insidie che attentano le speranze rivolte al futuro.

 

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