Il significato dell’infanzia ed il ruolo delle cure materne nella formazione dell’identità psicologica

La riflessione filosofica sull’educazione a posto l’accento fin dall’antichità sul significato dell’infanzia per evidenziare come il bambino avesse ed abbia bisogno di particolari attenzioni, insegnamenti e cure, per crescere, fortificarsi e diventare un adulto pienamente autonomo, libero e realizzato. In questo senso l’infanzia ha assunto nei secoli un significato ben preciso: essa riguardava la condizione di un soggetto incompleto, che doveva formarsi e che non era capace di intendere come gli adulti. Il nuovo significato di infanzia, che la Psicologia dell’età evolutiva introduce agli inizi del secolo scorso, è riferito invece alla considerazione di un soggetto tutt’altro che incapace, inetto, semplicemente perché bisognoso di crescere, di alimentarsi, quindi di essere accudito e, a tempo debito, anche istruito. Fin dalle prime indagini condotte sullo sviluppo psichico è stato dimostrato che l’infante alla nascita si trova ad attraversare un periodo delicato e determinante per tutte le sue successive acquisizioni e non solo per quelle coinvolte nel periodo dell’età evolutiva.

Così vengono comprovati che i primi momenti di contatto del neonato con le figure di riferimento (quindi la qualità del prendersi cura di lui da parte degli adulti) rivestono un valore importante, perché sono destinati a costituire il fondamento della futura vita di relazione del bambino che si dovrà trasformare in un individuo adulto e maturo. Sulla base di queste ricerche il significato dell’infanzia viene focalizzato come valore irrinunciabile che gli adulti devono saper riconoscere a questo momento decisivo per la vita del bambino. E’ così che viene assunta progressivamente la consapevolezza che, sul piano dello sviluppo psicologico, non bastano l’alimentazione, l’igiene, l’educazione e l’istruzione, perché ciò che incide in questo periodo critico della formazione del bambino è in primo luogo la qualità dei rapporti (o delle relazioni umane) tra lui e chi si prende cura del suo benessere. Freud ci testimonia che il bambino, nella prima fase orale dei fondamentali stadi dello sviluppo psicosessuale, non ha bisogno solo della nutrizione, ma di una gratificazione che soltanto la qualità del rapporto gli può dare. Ancora più di Freud, altri seguaci della Psicoanalisi, come Renée Spitz, hanno dedicato il loro studio ai primi due anni dell’infanzia del bambino, mostrando come la diade madre-bambino (quindi la qualità del rapporto simbiotico madre-bambino) sia indispensabile per lo sviluppo psicologico del bambino stesso. Ciò che caratterizza, per Spitz, la formazione del primo mondo sociale del bambino è la sua fondamentale capacità di poter giungere alla costruzione dell’oggetto, inteso, in senso psicoanalitico, come l’oggetto d’amore, ossia l’oggetto a cui sono destinate le cariche affettive.
Anche la nuova Pedagogia, che come scienza autonoma, si svincolerà dalla sudditanza alla Filosofia agli inizi del novecento, ricerca un’impostazione metodologica scientifica basata sull’osservazione psicologica ed antropologica del bambino naturale, colto come essere umano, che si apre alla vita ed al suo percorso formativo. Dalla “scoperta” del bambino naturale deve emergere la centralità della relazione educativa tra il bambino stesso e l’adulto al servizio della trasformazione della personalità infantile, perché in ogni piccolo essere umano che si apre alla vita ci sono potenzialità naturali positive, che gradualmente potranno emergere. Per parte sua, la Psicologia dell’infanzia mostra come lo sviluppo psicologico del bambino sia condizionato non solo dall’intersecarsi di complesse trame, ma in particolare dal primo fondamentale rapporto con la madre.
Su questo piano il significato dell’infanzia assume speciale importanza in relazione alle possibilità che vengono offerte al bambino nell’acquisizione del senso di sicurezza, di fiducia e dunque della sua identità. La psicoanalista Margaret Mahler ha elaborato un’interessante teoria sulla nascita psicologica del bambino, che sta influendo su gran parte della ricerca contemporanea, avendo introdotto l’ipotesi che tale nascita non coincide con quella biologica. Ella, attraverso una profonda ricerca clinica, arriva a descrivere la formazione dell’identità coincidente con la nascita psicologica del bambino ed, in tal modo, delinea le fasi in cui tale identità si forma. Per lei i primi tre anni di vita sono il periodo più “denso” ed importante della futura identità personale dell’individuo. Ella evidenzia come il neonato, durante le prime settimane di vita, appaia chiuso in una realtà intima, dove le soddisfazioni ai bisogni e ai desideri sono vissute come qualcosa che appartiene al proprio Sé. E’ questa la prima fase dello sviluppo, indicata dalla Mahler come “autismo normale”, una condizione che può essere definita “narcisistica”, in quanto tra il bambino ed il mondo non esiste un vero scambio relazionale, perché egli vive nell’illusione di bastare a se stesso con la convinzione di potersi procurare autonomamente gratificazioni di cui ha bisogno. Tale condizione psicologica è preparata e rinforzata a livello biologico. Il sistema nervoso, ancora immaturo, produce effetti indistinti ed ovattati. Per questo il bambino è più concentrato verso l’interno. Già durante il secondo mese di vita, per la Mahler, ha inizio una fase di “simbiosi normale”, nella quale il bambino si comporta come se egli e la madre fossero un unico sistema, uscendo così dallo stato di autismo. Il piccolo vive la propria realtà corporea come indifferenziata, in simbiosi con il corpo della madre, e questo vissuto gli impedisce di elaborare con chiarezza il confine che separa il suo corpo dal mondo esterno. Attraverso lo scambio del contatto e del calore corporeo con la madre, si viene a creare un accordo e si realizza una sintonia emotiva ed affettiva nella diade madre-bambino. Il piacere del contatto e delle coccole favorisce l’aumento della sensibilità del bambino alle stimolazioni esterne, dimostrata dall’incremento della “reazione-pianto” e da altre manifestazioni di tipo motorio, in cui la presenza della figura materna è necessaria per aiutare il piccolo ad accettare il dolore che deriva dall’accrescimento della sua tensione. Anzi la manipolazione consente al bambino di dare un significato psicologico a ciò che prova con i sensi, entrando in un dialogo profondo con la madre. Come aveva precisato Spitz, la madre svolge un compito di “Io-ausiliario” e, su questa base, la Mahler sostiene che l’organizzatore simbiotico sia il “comportamento possessivo” (preoccupazione materna primaria) della madre. Il mondo del neonato è confuso tra le impressioni prodotte dalle parti madre, percepite e sentite in stato di piacere o di dolore. Se la simbiosi è buona, il bambino sarà pronto a formarsi una propria identità. Questa fase simbiotica è seguita dalla fase della “separazione-individuazione”, che si sviluppa parallelamente alla maturazione delle funzioni dell’Io e che occupa circa i primi due anni di vita del bambino, completandosi normalmente con il terzo anno. Anche in questo periodo è importante il ruolo della figura simbiotica (la madre), perché deve accompagnare il bambino, fungere da organizzatore degli stimoli interni e provenienti dalla realtà esterna. Inoltre deve far sì che il raggiungimento della propria individualità da parte del bambino (ossia l’individuazione) avvenga progressivamente per gradi tra il secondo ed il terzo anno di vita. Per Winnicott è a partire dal concetto di disponibilità della madre che si costituisce il concetto di Sé vero del bambino, perché ella offre il proprio Io, facendolo emergere dalla confusione in cui si trova durante la maturazione del piccolo, grazie alle esperienze primarie di conoscenza, cioè di comunicazione tra Io e non Io.
Per la Mahler è nel processo di separazione-individuazione che diventa predominante il piacere dell’agire in autonomia del bambino, cioè il suo sentire di essere separato senza nutrire paure, anche se questo è possibile purché la madre sia capace di rassicurarlo e di fargli superare l’angoscia di separazione. In caso contrario, i processi di integrazione dell’Io possono essere disorganizzati e deformati. Quando il bambino comincia ad avere consapevolezza della possibilità di prendere le distanze dalla madre, egli rivela un bisogno maggiore che la madre condivida con lui le nuove acquisizioni di abilità e di esperienze. Questa sotto fase del periodo della separazione-individuazione viene definita dalla Mahler “periodo del riavvicinamento”. Durante il terzo anno di vita il processo raggiunge la sua meta, consentendo al bambino di affrontare da solo i rapporti con il mondo esterno, in quanto egli dimostra maggiore convinzione di ciò che fa in autonomia, senza essere sopraffatto dall’angoscia della separazione. Il bambino diventa adesso capace di entrare in un gioco di ruoli, dimostrando il raggiungimento di un significativo livello della capacità simbolica. E’ così che in questa fase il bambino si avvia, in modo chiaro e permanente, verso la costruzione del proprio senso di individualità, per cui la rappresentazione del Sé esce dalla simbiosi e si definisce in relazione con la figura materna. Durante le successive fasi dell’età evolutiva, proprio nell’adolescenza, si assiste però ad una seconda fase di “individuazione”, che conduce alla vita mentale dell’adulto. A conclusione del nostro esame sul significato dell’infanzia, si può dire, parafrasando Erikson, che la “separazione-individuazione”, fase cruciale e conclusiva di cui parla la Mahler, costituisce un tema costante del ciclo di vita, che accompagna l’individuo ad affinare sempre di più il suo senso di identità, guidandolo a divenire progressivamente sempre più se stesso.

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