9 maggio 2013 - APPUNTI, Filosofiamo    No Comments

Libertà e Giustizia in Platone

 Quale libertà per Platone?

Secondo la tradizione greca l’uomo era soggetto alla volontà degli Dei e al destino. Contrariamente Platone sostenne che l’uomo era libero di scegliere se essere giusto o meno. Infatti l’idea platonica di libertà era fondata non sulla volontà ma sulla conoscenza del bene e del male.

“La responsabilità è di chi sceglie; la divinità è senza colpa.” (Repubblica X 617e)

Quindi è l’anima a scegliere la propria vita nell’ambito delle possibilità offerte dagli Dei. Nella Repubblica Platone, affrontando il tema della giustizia, chiude il Dialogo con il mito di Er. Il mito concerne la vita, la morte, il giudizio, la libera scelta della nuova vita. Il comportamento dell’anima viene giudicato dopo la morte da giudici che hanno la facoltà di inviare in cielo a godere delle beatitudini celesti o condannare alle pene nelle profondità della terra. La permanenza in cielo non è definitiva. Dopo un certo numero di anni l’anima ritorna sulla terra a vivere una nuova vita. Lo stesso avviene per le anime inviate nelle profondità della terra. Solo alcuni condannati rimangono in perpetuo nel luogo della loro sofferenza. Chi rimane per ultimo avrà meno scelta, ma avrà sempre a disposizione modelli virtuosi, possono essere peggiori le condizioni materiali ma non quelle morali. In tal modo il cerchio si chiude ed inizia una nuova vita. Occorre prepararsi a fare la scelta giusta tra la vita buona e quella cattiva. L’ordine di scelta non impedisce di poter vivere in modo accettabile e virtuoso. La filosofia è il mezzo per raggiungere la felicità.

 Quale giustizia per Platone?

Sempre nella Repubblica, troviamo i temi speculativi e i risultati fondamentali dei dialoghi precedenti, che vengono riassunti, ordinati e connessi intorno al motivo centrale di una comunità perfetta, nella quale il singolo possa realizzare la sua completa formazione e la sua libertà. Il progetto di una tale comunità è fondato sul principio che costituisce la direttiva di tutta la filosofia platonica.

“Se i filosofi non governano le città o se quelli che ora chiamiamo re o governanti non coltiveranno davvero e seriamente la filosofia, se il potere politico e la filosofia non coincideranno nelle stesse persone e se la moltitudine di quelli che ora si applicano esclusivamente all’una o all’altra non sarà con il massimo rigore impedita dal farlo, è impossibile che cessino i mali delle città e anche quelli del genere umano” ( Rep., V, 473 d).

Ma la costituzione di una comunità politica governata da filosofi presenta a Platone due problemi fondamentali:

1) qual è lo scopo e il fondamento di tale comunità?

2) chi sono propriamente i filosofi?

Alla prima domanda Platone risponde: la giustizia. E difattila Repubblicaè esplicitamente diretta alla determinazione della natura della giustizia. Nessuna comunità umana può sussistere senza la giustizia. All’esigenza dei Sofisti che volevano ridurla al diritto del più forte, Platone oppone che neppure una banda di briganti o di ladri potrebbe venire a capo di nulla, se i suoi componenti violassero le norme della giustizia l’uno a danno degli altri. La giustizia è condizione fondamentale della nascita e della vita dello Stato. Lo Stato deve essere costituito da tre classi:

1) quella dei governanti;

2) quella dei custodi o guerrieri;

3) quella dei cittadini, che esercitano un’altra qualsiasi attività (agricoltori, artigiani, commercianti, ecc).

La saggezza appartiene alla prima di queste classi, perché basta che i governanti siano saggi affinchè lo Stato sia saggio. Il  coraggio appartiene alla classe dei guerrieri. La temperanza, come accordo tra governanti e governati su chi deve comandare lo stato, è virtù comune a tutte le classi. Ma la giustizia comprende tutte queste tre virtù: essa si realizza solo quando ciascun cittadino attende al compito che gli compete e quindi ha ciò che lo riguarda per la sua natura. Difatti, i compiti in uno Stato son tanti e tutti necessari alla vita della comunità: ognuno deve scegliere quello per cui è adatto per la sua natura e dedicarsi ad esso. Solo così ogni uomo sarà uno e non già molteplice; e lo Stato stesso sarà uno (423 d).

Per Platone la giustizia garantisce l’unità e con essa la forza dello stato. Ma essa garantisce altresì l’unità e l’efficienza dell’individuo. Nell’anima individuale Platone distingue, come nello Stato, tre parti:

1) la parte razionale, che è quella per cui l’anima ragiona e domina gli impulsi;

2) la parte irascibile, che è l’ausiliario del principio razionale, che si sdegna e lotta per ciò che la ragione ritiene giusto;

3) la parte concupiscibile, che è il principio di tutti gli impulsi corporei.

Del principio razionale sarà propria la saggezza, del principio irascibile sarà proprio il coraggio, del principio concupiscibile, la temperanza; mentre l’accordo di tutte le tre parti sarà nel lasciare il comando all’anima razionale. Anche nell’uomo singolo la giustizia si avrà quando ogni parte dell’anima eseguirà e rispetterà soltanto la propria funzione.

Indubbiamente la realizzazione della giustizia nell’individuo e nello Stato non può che procedere parallelamente. Lo Stato è giusto quando ogni individuo attende solo al compito che gli è proprio; ma l’individuo, che attende solo al compito che gli compete, è egli stesso giusto. Quindi la giustizia non è soltanto l’unità dello Stato in se stesso e dell’individuo in se stesso; ma è, nello stesso tempo, l’unità dell’individuo e dello Stato e di conseguenza l’accordo dell’individuo con la comunità.

Due condizioni sono necessarie per la realizzazione della giustizia nello Stato.

In primo luogo, l’eliminazione della ricchezza e della povertà, che rendono entrambe impossibile all’uomo di attendere al compito proprio. Ma questa eliminazione non implica un’organizzazione comunistica. Secondo Platone, le due classi superiori dei governanti e dei guerrieri non devono possedere  nulla né avere un qualsiasi compenso, oltre i mezzi per vivere. Però la classe degli artigiani non è esclusa dalla proprietà; infatti i mezzi di produzione e di distribuzione sono lasciati nelle mani degli individui.

La seconda condizione è l’abolizione della vita familiare, abolizione che deriva dalla partecipazione delle donne alla vita dello Stato a livello della più perfetta eguaglianza con gli uomini ed alla sola condizione della loro capacità. Le unioni tra uomo e donna sono stabilite dallo Stato in vista della procreazione di figli sani. E i figli vengono allevati e educati dallo Stato che diventa tutto una sola grande famiglia. Queste due condizioni rendono possibile uno Stato secondo giustizia, sempre, s’intende, che si verifichi l’altra condizione: che il governo sia dato ai filosofi.

Non bisogna dimenticare che la natura della giustizia, per Platone, riceve indirettamente luce dalla determinazione dell’ingiustizia. Lo Stato, di cui Platone parla, è lo Stato aristocratico, in cui il governo appartiene ai migliori. Ma esso non corrisponde a nessuna delle forme di governo esistenti.

Queste sono tutte degenerazioni dello Stato perfetto; e i tipi d’uomo corrispondenti sono degenerazioni dell’uomo giusto, che è uno in sé e con la comunità, perché è fedele al suo compito. Tre sono le degenerazioni dello Stato e tre le corrispondenti degenerazioni del singolo.

La prima è la timocrazia, governo fondato sull’onore, che nasce quando i governanti si appropriano di terre e di case; ad esso corrisponde l’uomo timocratico, ambizioso e amante del comando e degli onori, ma diffidente verso i sapienti.

La seconda forma è l’oligarchia, governo fondato sul censo, in cui comandano i ricchi; ad esso corrisponde l’uomo avido di ricchezze, parsimonioso e laborioso.

La terza forma è la democrazia, nella quale i cittadini sono liberi e ad ognuno è lecito di fare quello che vuole; ad essa corrisponde l’uomo democratico che non è parsimonioso come l’oligarchico, ma tende ad abbandonarsi a desideri smodati.

Infine la più bassa di tutte le forme di governo è la tirannide, che spesso nasce dall’eccessiva libertà della democrazia. E’ la forma più spregevole perché il tiranno, per guardarsi dall’odio dei cittadini, deve circondarsi degli individui peggiori. L’uomo tirannico è schiavo delle sue passioni alle quali si abbandona disordinatamente ed è il più infelice degli uomini.

 

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