17 ottobre 2022 - Filosofiamo    No Comments

L’istituto della rappresentanza come maschera

 

Un’opportunità di riflessione da non perdere.

In un suo articolo, uscito su rivista di filosofia on-line nel Marzo 2006, Claudio Bonvecchio coglie lo spunto dalla fiabaBiancaneve e i sette nani” per esaminare il tema della maschera, evidenziando come le due maschere, la regina e Biancaneve, possano essere considerate le maschere archetipiche del femminile, cioè della donna. Buonvecchio, altresì, ponendo l’attenzione, nello stesso articolo, sulla maschera ed il suo ruolo, evidenzia “come il tema dell’ombra in Jung costituisca un tema importante per la Psicologia analitica, in quanto l’ombra rappresenta quell’aspetto inconscio che deve essere reso conscio onde evitare che gravi sull’uomo interagendo, in forma proiettiva, su di lui “(cfr. J. Jacobi, La psicologia di C. G. Jung, trad. it., Boringhieri, Torino, 1973 pp. 137- 143). A questo proposito, in “L’uomo e i suoi simboli – Introduzione all’inconscio pag. 7 – 9, nell’importanza dei sogni”, Jung evidenzia come il linguaggio dell’uomo sia ricco di simboli come di segni, di immagini che, in senso stretto, non sono descrittivi, cioè non sono dei semplici simboli, ma solamente dei segni che hanno il compito di indicare gli oggetti a cui sono riferiti. In realtà il simbolo non è altro che un termine, un nome o una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni, ma che nel contempo indica qualcosa di vago, di sconosciuto e di inaccessibile. In altri termini per Jung una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio ed immediato: l’uomo non percepisce o mai comprende nulla completamente, perché tutto ciò che può conoscere è possibile solo attraverso la propria completa capacità percettiva, dipendente in ogni modo dal numero e dalla qualità dei propri mezzi percettivi. Tuttavia l’uomo può giungere solo ad un limite di certezza al di là del quale non è più in grado di conoscere. Per questo ogni nostra esperienza contiene un numero infinito di fattori sconosciuti, nella misura in cui non siamo in grado di conoscere la natura sostanziale della materia in sé. In effetti, quando noi ci muoviamo nello spazio, cercando di concentrare la nostra attenzione su tutto ciò che accade intorno a noi, taluni eventi non vengono registrati consapevolmente, rimanendo al di sotto della soglia della coscienza. Questa parte della realtà può apparire sottoforma di sogno, di immagine simbolica. Secondo questo tipo di ragionamento si giustificherebbe l’esistenza di due “soggetti”, o di due personalità all’interno dello stesso individuo. L’uomo ha concretizzato la propria civiltà dopo numerosissimi secoli, ma questa evoluzione è ben lungi dall’essere giunta al suo completamento. La nostra psiche è parte della natura ed i suoi enigmi sono infiniti. La coscienza è semplicemente una recente conquista della natura ed è ancora in una fase sperimentale, cioè è caratterizzata da un alto grado di fragilità, da una qualche dissociazione della coscienza. Come afferma Jung: il celebre etnologo francese Lucien Lévy-Bruhl ha definito «partecipazione mistica» ciò che l’uomo ha, oltre alla propria anima, come ritengono le popolazioni primitive, è un’«anima della foresta», come anche quest’anima, del resto, viene ad incarnarsi in un animale selvaggio o in un albero, con i quali l’individuo umano ha una specie di identità psichica. In tal senso, secondo i primitivi, l’uomo che è considerato fratello del coccodrillo in realtà è immune dall’assalto dei coccodrilli quando venga a nuotare in un fiume. Pertanto l’offesa che viene fatta alla foresta o alla specie dei coccodrilli è un’offesa nei confronti dell’uomo. In questa prospettiva ogni singola persona è composta di diverse unità fra loro collegate, ma singolarmente distinte. Anzi la psiche dell’individuo è tutt’altro che una unità perfettamente sintetica; al contrario essa rischia di frantumarsi anche troppo facilmente sotto l’urto di emozioni violente.

Il contributo di Benjamin Constant.

A questo punto, mi viene spontaneo porre l’accento sul contributo di Benjamin Constant che, tra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo, venne ad intrecciare in modo indissolubile la propria riflessione teorica con la partecipazione alle vicende storico-politiche francesi del Direttorio e della Restaurazione. Benjamin Constant nel famoso Discorso sulla libertà degli antichi comparata a quella dei moderni, scritto in occasione delle elezioni al parlamento francese del 1819, viene a chiarire la differenza tra la libertà degli antichi e quella dei moderni. Infatti per Constant la libertà dei moderni si identifica, in primo luogo, con il requisito dell’indipendenza individuale dal potere: sta a noi usare questa indipendenza come meglio crediamo. In secondo luogo, a questo insieme di libertà civili,”, che vengono definite libertà personali e che costituiscono il cuore della libertà moderna, necessariamente deve essere associata la libertà politica, definita come libertà pubblica, che consente ad ogni elettore di prendere parte alle decisioni collettive attraverso le elezioni dei propri rappresentanti. Per questo l’Istituto della rappresentanza politica assume una funzione decisiva a garanzia del carattere democratico dello Stato.

Una possibile interpretazione junghiana della tesi di Constant.

Gli avvenimenti, conseguenti alle elezioni del 25 Settembre scorso, che hanno caratterizzato il momento dell’elezione dei presidenti del Senato e della Camera dei Deputati del nostro paese, evidenziano come la maschera della rappresentanza politica, in questa fase storica in cui emerge un processo disgregativo della società nei termini di liquidità della società stessa e, quindi, nel venir meno di una qualsiasi certezza del domani, è al centro di una contestazione nella misura in cui si viene ad obiettare sul valore che possa avere la capacità da parte di ogni eletto di rappresentare ogni cittadino e, quindi, di affrontare e risolvere i problemi che nella quotidianità ognuno di noi deve affrontare.

Considerazioni conclusive.

Le parole attribuite ad Eraclito da alcuni suoi interpreti: “Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e da cui non deriva nessuna strada”, suggeriscono alcune domande su come i rappresentanti parlamentari appena eletti si propongano di svolgere il proprio compito a favore del Paese. Per questo ritengo sia opportuno prendere in considerazione quanto Victor Hugo ebbe modo di affermare il 5 aprile 1850 all’Assemblea legislativa di Francia:

«Noi dobbiamo far uscire una società nuova dalle viscere della società antica… Perciò non abbiamo il tempo per odiarci. L’odio è uno sciupio di forza e di tutti il peggiore. Riuniamo dunque fraternamente gli sforzi in un comune intento: il bene del paese. Cerchiamo insieme e cordialmente la soluzione del formidabile problema di civiltà, che ci è posto, e che contiene, secondo il modo con cui lo risolveremo, le più fatali catastrofi o il più luminoso avvenire”.”

Per tanto, facendo mio l’appello di Victor Ugo all’Assemblea legislativa di Francia del 5 Aprile 1850, rivolgo l’invito ai nuovi rappresentanti parlamentari del Paese Italia, cioè l’appello a superare tutti insieme questo grave momento, mettendo da parte tutto ciò che alimenta la divisione, il conflitto, la perdita del bene comune, cioè il benessere, il futuro degli italiani, in conformità del dettato della nostra Carta Costituzionale.

 

Prof. Alfio Profeti

 

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