Cerimonia in memoria di Falcone e Borsellino – A vent’anni dalle stragi di Capaci e di via d’Amelio.

Oggi, 18 Maggio 2012, siamo qui riuniti per far rivivere la presenza e per dar nuova voce all’insegnamento di due uomini, simbolo della lotta per la democrazia, servitori della Giustizia, che hanno sacrificato la vita per le istituzioni, per sostenere un’autentica società democratica, per farci acquisire una lezione, che noi non possiamo ignorare, recependola nella sua pregnanza e diffondendone il valore profondo e straordinario che essa ci ha trasmesso.

Falcone e Borsellino sono stati due eroi, ma non per caso.

Questa cerimonia in ricordo del loro sacrificio, promossa dal nostro Liceo “Carducci” di Pisa con la fondamentale collaborazione di Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, intende attivare a vent’anni dalla loro scomparsa una riflessione non esclusivamente commemorativa, ma specialmente per dar impulso ad un impegno attivo nella condivisione della Cultura della Legalità e della Convivenza Civile, coinvolgendo espressamente, attraverso la partecipazione degli studenti, il mondo della scuola e tutti coloro che aspirano a recuperare e coltivare il senso della cittadinanza e della legalità, lontano dai compromessi e dalle mortificazioni della dignità umana.

E’ per tale motivo che in questo frangente desideriamo, dar voce a due risoluti ed onesti difensori delle nostre istituzioni democratiche, linfa vitale dell’educazione alla legalità, ascoltando e riflettendo sulle parole che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno rivolto a tutti, affinché il loro sacrificio non venisse disperso.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non sono stati solo magistrati antimafia, ma uomini delle nostre istituzioni che hanno dato la vita perché tutti noi potessimo avere diritto all’uguaglianza e alla libertà che ci appartiene.

Entrambi costituiscono il simbolo del pool antimafia voluto da Antonino Caponnetto dopo l’omicidio del magistrato Rocco Chinnici. Essi si sono ostinatamente battuti per l’affermazione della giustizia e della dignità umana, da perseguire con la coraggiosa strada della democrazia, che è tale solo con l’assunzione di responsabilità da parte di ognuno.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano amici oltre che colleghi, la loro vita è trascorsa parallela nella Sicilia dello strapotere della mafia: i loro successi e il loro terribile isolamento, il loro senso del dovere e la burocrazia nemica, la fedeltà dei loro uomini e il tradimento, la conoscenza del fenomeno Mafia e l’omertà del popolo e delle Istituzioni, l’amore per la propria terra e il sacrificio della vita sono aspetti significativi della loro esperienza umana che li accomuna. Di entrambi è doveroso ricordare la loro dedizione assoluta al proprio lavoro, l’esigenza di fare luce sul fenomeno mafioso e cercare di mirare con convinzione al cuore di esso e annientarlo.

Giovanni Falcone ha sostenuto con gran determinazione:

“occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò, che sta l’essenza della dignità umana”.

All’opposto la mafia non segue le regole morali, etiche e legislative, distrugge come un cancro, senza alcun rispetto per la vita, e si insinua infidamente nel tessuto sociale. Nell’articolo “Io, Falcone, vi spiego cos’è la mafia”, che fu pubblicato da “L’Unità” il 31 maggio 1992, otto giorni dopo la strage di Capaci, il giudice Giovanni Falcone tracciava con chiarezza un quadro dell’evoluzione di Cosa Nostra a partire dal dopoguerra e denunciava la sottovalutazione che, per molto tempo, ha caratterizzato l’approccio delle istituzioni al problema della mafia. Sintomatica è la conclusione, con la quale egli chiudeva il suo articolo e che, a vent’anni dalla sua scomparsa, risuona più che mai forte, chiara, decisa, vitale, disincantata ed incisiva per il nostro difficile presente e soprattutto per il nuovo e complesso futuro che voi ragazzi siete chiamati a costruire.

Falcone scriveva: “mi rendo conto che la fisiologica stanchezza seguente ad una fase di tensione morale eccezionale e protratta nel tempo ha determinato un generale clima, se non di smobilitazione, certamente di disimpegno e, per quanto mi riguarda, non ritengo di aver alcun titolo di legittimazione per censurare chicchessia e per suggerire rimedi. Ma ritengo mio preciso dovere morale sottolineare, anche a costo di passare per profeta di sventure, che continuando a percorrere questa strada, nel futuro prossimo, saremo costretti a confrontarci con una realtà sempre più difficile.”

In quell’articolo Falcone ci invitava a non girar pagina ed a non abbandonarci al disimpegno. Egli era ben consapevole che, come la storia ci insegna, “le tragedie più disastrose non sono derivate solo dal dissenso dei disonesti e dei facinorosi, quanto – e più ancora – dall’assenso acritico delle maggioranze silenziose.”

Falcone fu ucciso a Capaci il 23 Maggio 1992 per il lavoro che svolgeva al dipartimento Affari Generali del ministero della Giustizia: la mafia lo fece saltare in aria con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro.

Persino Borsellino sapeva di essere un “condannato a morte”, anche se per lui: Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.

Per lo stesso Borsellino la lotta alla mafia, “il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”

E’ possibile rintracciare nelle parole di Paolo Borsellino preziosi consigli e lucide analisi che in questi anni sono rimaste sfortunatamente “parole al vento”, purtroppo parole inascoltate.

Egli non nascose mai il suo vero stato d’animo e dichiarò: “ho temuto nell’immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo ritrovato, ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare”. Però egli confidò che “la paura è normale che ci sia, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, sennò diventa un ostacolo che ti impedisce di andare avanti.”

Il 19 luglio, 57 giorni dopo Capaci, Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Come ha riferito il giudice Giuseppe Ayala nel suo ultimo libro sulle coincidenze, sulle “Troppe Coincidenze”, pubblicato recentemente in occasione del ventennale delle stragi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: “mafia, politica, apparati deviati, giustizia: implicano relazioni pericolose ed occasioni perdute”. La testimonianza di Giuseppe Ayala è particolarmente sentita e di alto interesse, in quanto egli è stato sempre al fianco di Falcone e Borsellino in prima linea, sia nell’attività quotidiana che nel condiviso impegno di lavoro. Infatti le stragi di Capaci e di via d’Amelio del 1992 strapparono a Giuseppe Ayala due colleghi e amici ed apparvero a molti come un punto di svolta sia nella storia della mafia, sia in quella dell’Italia intera. Oggi Giuseppe Ayala ripercorre i suoi anni in Parlamento a partire dal 1992, ricostruisce le troppe coincidenze che hanno caratterizzato le relazioni tra mafia, «poteri occulti» e politica, disegnando un quadro non trasparente che implica criminalità mafiosa e pezzi deviati dello Stato.

Egli scrive: “ho vissuto negli ultimi trent’anni una striscia di tempo che mi sembra ancora appartenere alla cronaca. Alludo ai giorni in cui gli eventi della politica si intrecciarono con quelli criminali, sino al punto da marchiare la gran parte dei percorsi che hanno segnato il destino del Paese.

L’attualità ci sorprende spesso per le modalità con cui si sviluppa. Un’analisi attenta dei fatti avvenuti consente, però, di riportare alcune «circostanze misteriose» alla loro effettiva dimensione di «conseguenze non casuali».

Ho vissuto da testimone diretto molte di queste vicende.

Le più lontane nel tempo nella mia Sicilia, dove un esercito criminale decise di attaccare lo Stato costringendolo a uno scontro frontale. La risposta delle istituzioni fu pronta ma, poi, per ragioni solo in parte chiarite, a rapide avanzate seguirono smarrimenti e ripiegamenti.”

Anche noi, come Giuseppe Ayala, oggi siamo qui per capire le ragioni di un così ingiusto sacrificio, quale la carneficina subita da Falcone, da Borsellino con le loro scorte, e per conoscere insieme a Libera, Associazione che da anni lotta contro tutte le criminalità organizzate, non solo la verità, ma soprattutto quale impegno assumere quotidianamente per spezzare l’iniquo patto tra le zone grigie delle nostre Istituzioni e la mafia, garantendo così un futuro di giustizia, di pari opportunità e di rispetto delle fondamentali libertà umane.

Prof. Alfio Profeti
Docente di Filosofia e Scienze umane

Dott. Formatore in Diritto all’Istruzione e Didattica Interculturale

 

 

 

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