Evoluzione storica dell’Antropologia culturale

Evoluzione storica dell’Antropologia culturale 

1. DOVE SI COLLOCA L’ANTROPOLOGIA CULTURALE

Con la Psicologia sociale e la Sociologia l’Antropologia culturale costituisce una delle tre scienze sociali di base. Suole anche essere definita scienza della cultura. In quanto la cultura , in senso antropologico, è costituita dai modi tipici di pensare e di agire dei membri di una società, l’Antropologia culturale studia sia i comportamenti sociali umani e le loro modalità, peculiari di ogni gruppo e sottogruppo, (culture e subculture), quanto i modi tipici del pensiero che sovraintendono loro. Essa si distingue dall’Antropologia fisica, in quanto quest’ultima studia gli aspetti biologici dell’uomo, e dall’Antropologia criminale, interessata alle forme più gravi della devianza sociale. Inoltre si distingue dall’Etnologia, interessata allo studio globale e descrittivo delle società illetterate o ex illetterate; dall’Antropologia sociale, o Etnologia sociale, sviluppatasi specialmente in ambito inglese, che si occupa dell’organizzazione sociale (e cioè della sociologia) dei popoli illetterati o ex illetterati, in primo luogo africani. Archeologia, storiografia e linguistica costituiscono aree interdisciplinari primarie dell’Antropologia culturale.

 

2. LA NASCITA DELLA DISCIPLINA E LE SUE FASI DI SVILUPPO

Prospettando nel 1871 la prima definizione antropologica del termine cultura, E.B. Tylor asseriva che nella misura in cui questa comprende «tutte le capacità e i moduli di comportamento acquisiti dall’uomo in quanto membro di una società», lo studio di queste capacità avrebbe consentito di «risalire alle leggi del pensiero e dell’agire umano». Si delineava così dal primo insegnamento di Antropologia culturale, tenuto dallo stesso Tylor ad Aberdeen (1888) e a Oxford (1895), la doppia linea teorica e sperimentale che la disciplina avrebbe seguito per oltre un secolo e nella quale oggi è possibile distinguere tre fasi.

 

3. LA PRIMA FASE

Seguendo in un primo tempo l’interesse verso l’umanità non europea, maturato in Inghilterra, Francia e Germania già nel XVIII secolo, l’antropologia culturale si dedicò da un lato allo studio delle comunità semplici, e cioè extraeuropee e prive di scrittura, e dall’altro alla riflessione sul fenomeno della “cultura” come tale. La ricerca sul terreno, condotta specialmente in America, Africa e Oceania, dal punto di vista del metodo assumeva prevalente carattere descrittivo, affiancandosi alla ricerca etnografica e aprendo una lunga polemica con gli etnologi, che non riconoscevano la differenza tra le due discipline. Tale specificità venne confermata da ricerche di antropologi culturali che, come già Tylor, muovevano da principi teorici. Tali principi, compresi quelli da lui proposti, certamente utili, furono però anche, tranne forse quelli di A.L. Kroeber , parziali o settoriali, e la disciplina, al contrario di quel che si verificò nella Psicologia con le grandi teorie di Pavlov e di Freud, non dispose di una parallela teoria generale, alla quale giunse solo in tempi assai più recenti. Questa situazione rispecchia il significato e la posizione che la disciplina e la sua ricerca hanno avuto, e in particolare hanno attualmente, nella storia del pensiero dell’occidente. La definizione data da Tylor segnava l’esordio di una nuova disciplina in un momento che vedeva la nascita delle scienze sociali, in primo luogo la Sociologia (A. Comte) e la Psicologia sperimentale (W. Wundt). Le diverse definizioni della cultura sono giustificate dalla molteplicità dei livelli di astrazione della sua fenomenologia. L’Antropologia culturale può essere oggi anche definita scienza dell’identità mentale-sociale dei gruppi umani e, insieme, strumento per la maturazione di una sua adeguata coscienza nei singoli membri dei gruppi. La nascita dell’Antropologia culturale nel 1871 chiudeva anche un lungo lavoro preparatorio nel pensiero occidentale europeo verso una sempre maggior coscienza negli individui della propria identità di gruppo. Pertanto il periodo pretyloriano può essere oggi per comodità definito preparatorio della disciplina e quindi essere indicato come prima fase.

4. LA SECONDA FASE

Il periodo da Tylor agli anni Quaranta del Novecento si può definire seconda fase; mentre una terza fase può individuarsi nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, con qualche anticipazione alla fine degli anni Trenta, dovuta all’interesse sempre più elaborato per le culture delle società occidentali (Antropologia delle società complesse). Questa prospettiva, oltre a chiarire il senso della scienza della cultura nel pensiero occidentale moderno, ne inquadra la futura funzione conoscitiva ed euristica, colmando il vuoto ancora largamente presente nella ricognizione storica sulle culture europee, come su qualunque cultura attuale o sullo stesso vissuto quotidiano degli individui e dei gruppi. Le matrici dell’Antropologia culturale nel periodo pretyloriano possono definirsi dirette, in quanto espressione di riflessioni in vario modo preantropologiche, alle quali si rifà in genere la letteratura scientifica sull’uomo, e indirette, in quanto non costituiscono un itinerario verso l’antropologia come scienza ma l’anticipano, esprimendo appunto quel maturarsi nell’attuale società occidentale dell’esigenza di autoidentificazione, individuale e di gruppo, definita identità culturale. Le fonti indirette o “implicite” partiranno in Italia da Leon Battista Alberti, come da Machiavelli e da Guicciardini, e in Europa da Montaigne e da Montesquieu, e potranno essere riconosciute anche in classiche sintesi umanistico-filosofiche quali la Storia della civiltà greca di J. Burckhardt (1898-1902, ed. it. 1955), La crisi della coscienza europea di P. Hazard (1935, ed. it. 1946) o Le origini dello storicismo di F. Meinecke (1936, ed. it. 1954). Come fu rilevato da A. Kroeber, che aveva riflettuto sul carattere collettivo della maturazione della cultura, sin dalla seconda metà del Settecento si era affermato nel parlare comune inglese l’uso del termine cultura non più come conoscenza ma come “mentalità” e “costume”, cioè in senso antropologico (R. Williams, Cultura e società, 1961, ed. it. 1968). Proprio nel Settecento si era sviluppata una riflessione che avrebbe fatto considerare protoantropologi autori come Locke, Vico, Voltaire, Diderot, Herder e, più tardi, Spencer. Ma ormai, dalla seconda metà dell’Ottocento, e comprensibilmente con approccio evoluzionistico di derivazione darwiniana, etnologi e giuristi inglesi contemporanei di Tylor quali J. Mc Lennan, H. Maine e J. Lubbok, o tedeschi o di lingua tedesca come J.J. Bachofen e A. Bastian, o americani come L.H. Morgan, si interrogavano sulla formazione originaria della società umana, sia pure attraverso una documentazione, tranne che per Morgan, di seconda mano, detta poi “da tavolino” perché non ricavata dal contatto diretto con le popolazioni studiate. Per quanto impostati in termini di deterministiche scansioni evolutive, problemi nuovi si affiancarono all’esigenza di individuare, per via statistica come in Tylor, o attraverso ipotesi astratte come in Bastian con le “idee di base” (Elementargedanken), postulanti l’unità psichica del genere umano, quelle costanti comuni a tutte le culture che per allora soltanto Tylor era riuscito a ipotizzare con sufficiente correttezza: l’origine della famiglia, della religione, dell’organizzazione sociale primitiva, i sistemi di parentela e discendenza, lo stesso tabù dell’incesto, il relativismo culturale e l’etnocentrismo, l’emergenza e la diffusione della cultura, il diritto primitivo. Dalla fine dell’Ottocento (seconda fase), una serie di brillanti antropologi, non di rado di origine germanica, iniziava l’elaborazione di concetti che potevano apparire tra loro isolati, ma che costituirono di fatto il lungo cammino verso una teoria generale della cultura. Il percorso apparve reso arduo dalla carenza di strumenti epistemologici e specie dal fatto che ogni contributo, allargando lo spazio di osservazione, rivelava che la fenomenologia della cultura, confermandosi tra i fenomeni umani più complessi e meno riconoscibili, era ancora, e in parte è tutt’ora, lontana dall’essere unitariamente dominata. Tra il 1880 e il 1890 F. Boas confutava con le sue ricerche nel Canada settentrionale il determinismo geografico di matrice ratzeliana ( F. Ratzel) e proponeva poi un approccio alla cultura attraverso la Psicologia («personalità e cultura»). Nei primi decenni del Novecento A. Kroeber, allievo di Boas, riconosceva il carattere autonomo e specifico della cultura umana come fenomenologia ed elaborava criteri metodologici per studiarla. Si inseriva così nella riflessione che si sarebbe poi sviluppata sui modelli e le configurazioni delle diverse culture, alla ricerca dei fattori distintivi e comuni. Da Boas derivarono numerosi antropologi che nella prima metà del Novecento contribuirono in varia misura allo sviluppo della disciplina: oltre a Kroeber, R. Lowie, E. Sapir, M. Herskovits, A. Goldenweiser, C. Wissler, R. Benedict, M. Mead, A. Montagu, per ricordare i più autorevoli e noti in Italia. Nel 1921 E. Sapir contribuì con Il linguaggio. Introduzione alla linguistica (1921, ed. it. 1969) a porre i fondamenti della linguistica e dei rapporti tra personalità, pensiero e cultura.

5. LA TERZA FASE

Nel 1945, mediandolo dalla Psicologia e dall’uso che ne avevano fatto i coniugi Lynd nella celebre indagine del 1929 Middletown. A Study in American Culture, R. Linton elaborava il concetto di value attitude ( atteggiamento di valore ). Questo costituì, in quella che può indicarsi come terza fase della disciplina, un riferimento primario per gli studi sull’azione sociale e più tardi sul rapporto mente-cultura. Ne scaturì l’esigenza di un approfondimento storico e fenomenologico della cultura (A. Kroeber, C. Kluckhohn, Il concetto di cultura, 1952, ed. it. 1972), che suggerì nel 1957 allo stesso Kluckhohn una prima rassegna dei contributi che, dopo Tylor, Bastian e Boas, si erano avuti nella ricerca degli «universali della cultura», vale a dire degli aspetti generali che consentissero di fondare quella universalità che appariva in sé evidente ma che in pratica non si perveniva a configurare. Nel 1956, in una ricerca su cinque comunità del Texas diretta da T. Parsons e C. Kluckhohn, F. Kluckhohn, in collaborazione con F.L. Strodtbeck, individuava alcune categorie o valori universali della cultura in alcuni orientamenti (attitudes) di valore (value orientations) che avrebbero costituito le basi di un futuro e più ampio approccio teorico in Variations in Value Orientations. A Theory tested in Five Cultures (1961; Variazioni nell’orientamento di valore: una teoria verificata in cinque culture). Riprendendo negli stessi anni l’istanza che era stata anche di Kroeber, J. Steward proponeva ancora il fondamentale rapporto cultura-territorio (ecologia culturale) e sostituiva il concetto di evoluzionismo culturale unilineare, che era stato degli antropologi positivisti, con quello di plurilinearità evolutiva, a favore di una pluralità di linee del cambiamento culturale che, per la loro intrinseca indeterminazione, avrebbero appunto richiesto nel ricercatore l’utilizzazione di un apparato epistemologico. R. Manners e D. Kaplan ne furono prosecutori (1972). Accanto a questa linea che, proseguita da altri studiosi, appare la più conseguente e continua nella storia del pensiero antropologico, conviene richiamare sia pur brevemente, altre correnti. La linea marxista (Z. Baumann, 1973) o paramarxista (M. Harris, 1968), quella funzionalistica (funzionalismo), che ha dato luogo all’odierna antropologia sociale inglese (B. Malinowski, A.R. Radcliffe-Brown, E.E. Evans-Pritchard), quella psicologica, rappresentata da A. Kardiner, quella psicanalitica, con il rumeno G. Roheim.

M. Harris e C. Geertz godono di notevole prestigio, ma le loro proposte, e specialmente quelle del secondo, non corrispondono a teorizzazioni formalmente elaborate, nonostante il richiamo alla Filosofia della scienza. Specie con gli anni Cinquanta la disciplina si pose sempre più definiti problemi di metodo, inserendosi anche nel filone epistemologico e affrontando un lavoro di apertura per la conoscenza interdisciplinare del mondo occidentale industriale. Un’altra componente, comprensibilmente in ritardo rispetto alla Sociologia, è l’emergere di diversificazioni che, specie negli Stati uniti ma anche in Italia, si sono tradotte in nuovi insegnamenti, costituendo l’Antropologia storica, urbana, politica, economica, cognitiva, del diritto ecc., oltre ai settori di Antropologia applicata alla medicina, alla promozione sociale, all’educazione sessuale e ad altri campi di attività.

6. BIBLIOGRAFIA

A.L. Kroeber, Antropologia. Razza, lingua, cultura, psicologia, preistoria, Feltrinelli, Milano 1983. P. Mercier, Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 1970.

M. Harris, L’evoluzione del pensiero antropologico, Il Mulino, Bologna 1990.

R. Manners, D. Kaplan, Culture Theory, Prentice Hall,Englewood Cliffs 1972.

S. Moravia, La scienza dell’uomo nel Settecento, Laterza, Roma-Bari 1970.

(I riferimenti sono tratti dal: Dizionario di Storiografia – Bruno Mondadori)

SCARICA L’ARTICOLO COMPLETO IN VERSIONE PDF

Hai qualcosa a dire? Accedi e lascia il tuo commento!

Devi essere loggato per inviare un commento.