Il concetto di realtà o sostanza in Cartesio

Il concetto di realtà o sostanza in Cartesio

 Il presupposto su cui poggia l’intera filosofia di Cartesio

Abbiamo visto che Cartesio è fermamente convinto dell’obbligatorietà di un metodo rigoroso, pari a quello della matematica, da impiegare nell’indagine della speculazione filosofica, valevole non solo per la conoscenza (cioè il piano teoretico della ricerca), ma anche per l’azione (ossia per l’ambito della morale). Tuttavia il presupposto filosofico, che sostiene in ogni caso l’intera impresa speculativa di Cartesio, non è semplicemente quello della ricerca di un metodo di indagine valido e nemmeno la tanto enfatizzata importanza che egli attribuisce alla necessità di ricorrere ad un dubbio metodico iperbolico, ovvero assoluto. Di fatto Cartesio muove da un presupposto filosofico incontrovertibile: per lui è importante, prima di ogni cosa, individuare che cosa è la “realtà”, intesa non semplicemente come realtà dei fenomeni che ci appaiono (la cosiddetta realtà fisica), bensì quella realtà non condizionata da nulla (metafisica dunque) o sostanza veramente reale (in verità originaria e quindi indubitabile), da cui hanno origine tutte le cose, compresa quella realtà fisica che noi vediamo e di cui facciamo continua esperienza.

L’esigenza di adottare un metodo, come pure quella di dubitare su tutto ciò che è oggetto dei nostri sensi, per Cartesio esprime la necessità di risalire a quella realtà (o sostanza indubitabile), che è la condizione di possibilità di ogni cosa. In tal modo Cartesio chiarisce quale deve essere il vero oggetto dell’indagine filosofica: la realtà metafisica. Infatti la prima certezza che Cartesio evince dal “cogito ergo sum”, a cui egli perviene dopo aver applicato ad ogni cosa il dubbio iperbolico, è la certezza della res, o realtà del pensiero. Ma il pensiero da solo, come “res cogitans” (cioè come sostanza pensante), è sufficiente da solo a dar luogo, quindi ad originare, oggetti non soltanto spirituali ma corporei e dunque dotati di estensione? Risulta chiaro che a Cartesio manca un’altra realtà originaria (“res extensa”) che sia alla base del mondo fisico e che lo renda possibile, caratterizzandone la meccanicità di tutti i corpi della realtà naturale. Lo stesso essere umano è costituito da due distinte sostanze: la res cogitans (il pensiero) e la res extensa (il corpo esteso), quest’ultimo determinato da un movimento meccanico, come avviene per tutti i corpi della natura fisica. Cartesio paragona la natura ad una grande macchina. Tutto ciò che fa parte della realtà fisica, attraverso l’estensione dei corpi in movimento, è regolato da un determinismo meccanico e quindi da leggi necessarie governate dal rapporto di causa ed effetto. Ma a proposito della natura fisica emerge un problema per Cartesio: come facciamo ad essere certi della chiarezza ed evidenza della realtà estesa in una forma indubitabile come nel caso della res cogitans? Abbiamo visto che la certezza dell’evidenza della res cogitans è ricavata deduttivamente dal dubitare come atto stesso del pensare. Però come posso essere altrettanto certo che il mondo esteso nella sua corporeità sia quello che vedo, sento, ecc. e che io non mi inganni di fronte ai i fenomeni che osservo? Chi mi può garantire sulla certezza di una realtà estesa si chiede Cartesio? Cos’è che dimostra l’evidenza di un’incondizionata e vera res extensa?

 La dimostrazione dell’esistenza di Dio come garanzia della res extensa

Ciò che di fatto metteva in dubbio la certezza e dunque l’evidenza della realtà estesa era l’ipotesi dell’esistenza di un genio maligno, che Cartesio aveva supposto, per giustificare l’eventualità che l’uomo, nel conoscere i fenomeni della natura, potesse essere preda dell’inganno di questa figura malvagia, cadendo così in errore. Cartesio, dunque, si affida ancora una volta ad un ragionamento ben impostato di tipo analitico deduttivo: già la prima certezza, ricavata dall’evidenza indubitabile della presenza del pensiero, era appunto che, dubitando, io penso; ma, se dubito, vuol dire altresì che sono imperfetto, non avendo la certezza di ciò che è oggetto dei miei sensi. Cartesio si chiede allora: come fa un essere imperfetto a rendersi conto che è tale? E’ a questo punto che Cartesio perviene, sempre mediante il procedimento logico deduttivo, alla certezza che non possa esistere un essere malvagio, ma semmai un essere perfetto, che ha immesso nella mia mente l’idea di perfezione. Ciò che è perfetto non può essere malvagio e quindi non mi può ingannare. Ergo: grazie all’esistenza di un “essere perfetto”, Cartesio perviene alla garanzia dell’esistenza della res extensa, come seconda realtà o sostanza, che rende possibile l’esserci delle cose e dunque dei fenomeni. In tal modo Cartesio approda ad un dualismo delle sostanze o realtà originarie: la res cogitans e la res extensa, anche se la stessa esistenza di un essere perfetto può essere colta come un’ulteriore realtà metafisica. Saranno queste tre realtà originarie che scateneranno il dibattito post cartesiano. Ma Cartesio è interessato fondamentalmente ad aprire l’indagine filosofica a queste nuove realtà originarie da esplorare, che sono di natura metafisica e di cui egli ha chiara ed evidente certezza grazie al suo procedimento dimostrativo di impostazione rigorosamente logico deduttiva.

 

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